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sabato, Gen 28

Startup, in Italia quella che vuole riciclare le batterie con le bucce di arancia



Da Wired.it :

Poi c’è il tema del potenziale impatto ambientale legato ai processi di riciclo. “Lo stato dell’arte prevede due possibili modalità – dice il fondatore -. La più diffusa è pirometallurgia: in pratica si bruciano le batterie a 800-1.200 gradi centigradi e si recupera il possibile. Lascio immaginare il tema della gestione delle emissioni. La seconda possibilità è quella della idrometallurgia convenzionale dove invece della combustione si usano reagenti acidi come per esempio il cloridrico. L’impatto ambientale è minore ma comunque non sono sostanze facili da gestire“.

La soluzione di AraBat è di idrometallurgia – già impiegata da imprese leader come per esempio Recupyl oppure Aea Technology –  ma con una formula green, appunto acido citrico potenziato da scarto agrumario, vegetale o un mix di entrambi. Per altro il cosiddetto “pastazzo”, che è il residuo della lavorazione delle arance nel campo alimentare (soprattutto di chi produce succhi di frutta), ha un costo simbolico: 1 euro a tonnellata.

Come funziona il sistema

Nacchiero spiega che il processo è stato elaborato negli ultimi due anni, anche se la startup è stata creata solo recentemente. Fondamentale l’apporto di Binetti, ingegnere dei materiali e Phd con un percorso accademico nazionale e internazionale. Ebbene, il metodo prevede che il pastazzo venga deumidificato in fornace (“Non si superano comunque gli 80 gradi in tutto il processo“) e successivamente polverizzato. Poi viene inserito nel reattore con acido citrico organico e vi si aggiunge il black mass, la polvere nera. Questa non è altro che il frutto della triturazione delle batterie esauste. 

Verrebbe quasi voglia di mescolare come in un cocktail, ma in realtà è in questo momento che attuiamo la lisciviazione verde facendo precipitazioni selettive. In pratica aggiungendo componenti chimici differenti si possono ottenere l’idrossido di nichel, di manganese oppure di cobalto. Aggiungendo CO2 si ottiene il carbonato di litio“, sottolinea Nacchiero.

Il modello di business e lo scale-up

Il risultato di questo processo chimico è quello di ottenere sacchi di materiali singoli da 25 chili ciascuno, come ad esempio hanno richiesto diverse imprese indonesiane. La vendita diretta dei metalli preziosi è l’opportunità di business più semplice, ma nella logica di una transizione elettrica più green il team pugliese ha pensato anche di fornire in licenza la sua tecnologia immaginando che in altri paesi possano sorgere stabilimenti e cicli virtuosi di raccolta e recupero. l’India ha già espresso interesse. “In sintesi i nostri clienti possono essere i produttori di batterie, le aziende di vari settori produttivi che hanno bisogno di materie prime critiche e partner pronti a replicare la nostra attività“, puntualizza l’ad.



[Fonte Wired.it]