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martedì, Feb 11

Stefano Sollima racconta ZeroZeroZero: “Abbiamo mostrato la cocaina come fosse un contagio”



Da Wired :

Cinque paesi coinvolti, sei lingue, mille persone. La serie Sky ispirata al libro di Roberto Saviano è una produzione ambiziosa, come spiegano a Wired i suoi realizzatori, compreso uno dei registi. “Quando abbiamo iniziato a ragionarci anni e anni fa, pensavamo: chi mai la produrrà?”

Il regista Stefano Sollima sul set messicano di ZeroZeroZero (foto: Rosa Hadit/Sky)

Per lanciare ZeroZeroZero, la nuova serie Sky Original prodotta con Cattleya, in onda dal 14 febbraio su Sky Atlantic e disponibile anche on demand e su Now Tv, sono stati utilizzati orsacchiotti, peperoncini in scatola, reggiseni: tutti oggetti apparentemente innocui ma che possono nascondere il più pericoloso dei tesori, la cocaina. È il concetto di partenza di questa serie crime internazionale, ispirata al libro omonimo di Roberto Saviano (edito da Feltrinelli), e che vuole mostrare, anzi svelare, come il narcotraffico si insinui in tutti gli ambiti e tutte le latitudini, spesso rimanendo un’insospettabile e invisibile sottotraccia.

“Volevamo raccontare come ciascuno dei personaggi cambia entrando in contatto con la cocaina, quanto questo stupefacente stravolga le realtà sociali ed economiche che tocca. È una specie di contagio, dice a Wired Stefano Sollima, creatore di ZeroZeroZero con Leonardo Fasoli e Mauricio Katz, e regista dei primi due episodi. Continua sulla stessa linea Fasoli: “Desideravamo proprio sottolineare l’impatto della droga a qualunque livello della società”.

Il punto di partenza è stato appunto il libro/inchiesta, ma non sono mancati cambi di direzione e scelte di libertà: “Abbiamo bombardato di domande Saviano, ma solo in una primissima fase, poi non è più intervenuto”, spiega Sollima: “La sfida è stata quella di partire da un materiale narrativo geniale come il suo, senza restare imbrigliati in alcun tipo di narrazione”. Si è scelto di mantenere l’impostazione divisa in tre parti, parlando cioè di produttori, intermediari e compratori, e ambientare le vicende in altrettanti parti del mondo (Messico, New Orleans e Calabria, anche se compaiono anche Marocco e Senegal): “C’è l’espediente del viaggio del carico di cocaina su una nave cargo, limitando l’azione a quel preciso arco temporale”.

(Foto: Roda Hadit/Sky)

ZeroZeroZero è un gioco continuo di sovrapposizioni temporali e geografiche: si parte dai clan calabresi dell’ndrangheta per spostarsi poi su una famiglia americana apparentemente per bene che in realtà ha costruito la sua fortuna facendo da broker fra i vari cartelli. Poi, ovviamente ci sono i narcos messicani e i soldati delle forze speciali intenti a sgominarli, o, forse, a proteggerli. Si è girato dunque in cinque paesi, con una troupe di mille persone e sei lingue coinvolte: “Abbiamo iniziato a ragionare sulla serie anni e anni fa. Era un progetto talmente ambizioso e difficile da realizzare che pensavamo: chi mai la produrrà?”, confida Sollima. È d’accordo con  lui Gina Gardini di Cattleya: “Ci dicevamo pazzi da soli, soprattutto per la volontà di girare nei luoghi in cui le storie sono davvero ambientate. Anche a livello di organizzazione è stata un’impresa: abbiamo permesso a ogni regista di portare a termine tutti i suoi episodi, prima di passare al successivo”. Se Sollima firma le prime due puntate, infatti, le altre sei sono state distribuite fra Janus Metz e Pablo Trapero.

Stefano Sollima parla di un “grande reportage cinematografico. Gestire una produzione così è come realizzare tre film diversi, che addirittura parlano di tre cose differenti, ma che hanno senso insieme”. Il dato di realtà è fondamentale per un titolo come questo, tanto che Fasoli sottolinea il grande lavoro di ricerca e i numerosi viaggi in loco per studiare: “Nonostante l’impianto di finzione, abbiamo preso la maggior parte degli spunti da storie realmente accadute: l’intermediario di New Orleans, il ricorso alle navi commerciali, i soldati messicani, i rituali dell’ndrangheta…”.

Adriano Chiaramida (Don Minu) e in secondo piano Giuseppe De Domenico (Stefano) (foto: Stefania Rosini/Sky)

È interessante come tutta l’attualità e la gravità dei meccanismi di narcotraffico, soprattutto nei risvolti più insospettabili, siano mescolate abilmente a storie dal grande pathos: il soldato che in Messico è diviso fra una fede incrollabile e la necessità di tradire i compagni; il giovane Stefano La Piana (Giuseppe De Domenico) in Calabria scalpita per soppiantare il vecchio nonno a capo del clan ma ormai da anni latitante in un bunker, Don Minu (Adriano Chiaramida); a New Orleans, Edward Lynwood (Gabriel Byrne) stenta a lasciare il suo impero ai figli. Ricorrente, si capisce, è la lotta generazionale: “Forse dovremmo interrogare i nostri analisti, in realtà penso che sia un tema piuttosto universale”, scherza Sollima. “È che quando racconti storie così precise, come quelle dei narcotrafficanti, ti viene quasi automatico ricorrere a qualcosa che sia un archetipo”. E Fasoli aggiunge: “In fondo, anche in generale, respiriamo una contrapposizione, un cambiamento in atto fra un mondo ormai passato che non ha più risposte e una nuova generazione che accelera tutto, talvolta anche con violenza”.

Sfida e ambizione sono le parole che ricorrono più spesso nei discorsi delle persone coinvolte nella realizzazione di ZeroZeroZero. Il risultato è che l’orizzonte della trama è talmente ampio che, forse, lo spettatore rischia a tratti di perdersi, specie per via della struttura temporale spezzata (ogni episodio inizia con un teaser, ma continua con un’altra storia, che gli si ricollega solo alla fine). Aiuta il fatto che tutto si svolge seguendo l’itinerario di una nave cargo, appunto: “ZeroZeroZero è concepito come un racconto chiuso”, conclude Sollima. “Se ci sarà una seconda stagione, racconterà un nuovo viaggio, personaggi diversi”. Di sicuro, ciò che si scopre sul mondo sommerso eppure pervasivo della cocaina è sconvolgente.

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[Fonte Wired.it]