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giovedì, Dic 19

Stop al taglio dei parlamentari, ci sarà il referendum


Sono state raccolte le 64 firme necessarie per avviare un referendum costituzionale sulla riforma del taglio dei parlamentari. Il traguardo dei senatori blocca tuttavia l’entrata in vigore della legge approvata ad ottobre e potrebbe complicare la riforma di quella elettorale

(Foto Roberto Monaldo / LaPresse)

Sono state raggiunte le 64 firme di senatori necessarie per chiedere il referendum sul taglio dei parlamentari, la riforma costituzionale approvata lo scorso ottobre dal parlamento. L’obiettivo raggiunto del quorum, ovvero un quinto del totale dei senatori, di fatto sospende l’entrata in vigore della legge, prevista per gennaio. Qualora sulle firme – che dovrebbero essere consegnate alla Cassazione nei prossimi giorni – non si ravvedano problemi, si procederà col referendum costituzionale, come previsto dalla Carta.

Cosa prevede la riforma

Lo scorso 8 ottobre la Camera aveva approvato con 553 voti a favore, 12 contrari e due astenuti la riforma che mira a ridurre il numero dei parlamentari in questi termini: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. Si parla, quindi, di una riduzione di un terzo del totale. La riforma taglia anche il numero dei parlamentari che vengono eletti all’estero, che passeranno da 12 a otto alla Camera e da sei a quattro al Senato. Votata a larghissima maggioranza, è stata promossa e incoraggiata dal Movimento 5 stelle non senza qualche incidente di percorso. Molti parlamentari infatti l’hanno criticata prima di votarla. Per molti esperti, inoltre, ridurre il numero equivale a diminuire la rappresentanza degli elettori.

Cos’è il referendum confermativo

Trattandosi di una riforma costituzionale, la legge sul taglio dei parlamentari è stata approvata in doppia lettura, passando due volte alla Camera e due volte al Senato. La legge, sempre in quanto riforma costituzionale, entrerà in vigore nei tre mesi successivi alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, a meno che non si presenti una richiesta di referendum confermativo, come appunto è avvenuto. Questo è stabilito dall’articolo 138 della Costituzione: “Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi”. Per questo tipo di referendum non è necessario il quorum degli elettori, in quanto si conferma o meno una legge (da qui l’espressione referendum confermativo che indica, di fatto, un referendum costituzionale). Storia differente per il referendum abrogativo, che va ad abrogare un determinato provvedimento ed necessita il quorum, come specificato all’articolo 75 della Costituzione.

I casi precedenti

La prima volta risale al 7 ottobre 2001 quando si tiene il referendum per confermare o no la riforma del Titolo V della Carta, che passò con il 64,2 per cento di voti favorevoli anche se l’affluenza non superava il 34 per cento. Il secondo caso di referendum confermativo, 25-26 giugno 2006, riguarda la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi: la cosiddetta ‘devolution‘ è bocciata con il 61 per cento mentre, in questo caso, i votanti superano il 52 per cento. Il 4 dicembre 2016 è la volta del terzo referendum costituzionale nella storia repubblicana: la maggioranza dei votanti ha respinto il disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, approvata in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016 e che puntava tra l’altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A dire di no è stato più del 59 per cento degli italiani, contro quasi il 41 per cento di Sì. L’affluenza però ha segnato un record: quasi il 69 per cento vota al referendum.

E ora?

L’effetto principale del traguardo delle firme necessarie per il referendum sul taglio dei parlamentari è la riforma della legge elettorale, invocata proprio luce di questa modifica parlamentare ora rimessa in discussione. Come spiega l’Ansa, potrebbe succedere che, per un cavillo giuridico, la mancata promulgazione definitiva del taglio dei parlamentari a gennaio faciliti l’ammissione presso la Corte costituzionale del referendum chiesto dalla Lega per modificare il Rosatellum bis eliminando il proporzionale e lasciando solo il maggioritario con i collegi uninominali. Sulla riforma all’inglese la pronuncia arriverà il 15 gennaio. Se venisse dichiarato ammissibile, in primavera potrebbero tenersi due consultazioni: un referendum costituzionale senza quorum e uno abrogativo con quorum. Sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica.

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