Le regole per accedere al fine vita in Emilia-Romagna sono state temporaneamente messe in pausa. Il Tar (Tribunale amministrativo regionale) ha infatti accolto la richiesta di “sospensiva” presentata dalla consigliera regionale di Forza Italia Valentina Castaldini contro i provvedimenti ufficiali della Regione che avevano stabilito come gestire le richieste di suicidio medicalmente assistito. Queste delibere davano attuazione pratica a quanto stabilito dalla Corte costituzionale nel 2019, che ha depenalizzato l’aiuto al suicidio in specifiche condizioni: in assenza di una legge nazionale, la Regione aveva definito tempi e modalità concrete per permettere ai malati di esercitare questo diritto. La sospensione durerà almeno fino al 15 maggio, quando i giudici esamineranno nel dettaglio la questione e decideranno se queste regole possono restare in vigore o devono essere annullate. Intanto però la decisione avrà effetti concreti: due persone infatti avevano già concluso l’iter per accedere al suicidio assistito e una terza aveva appena iniziato la procedura, che ora potrebbe subire ritardi o complicazioni.
Suicidio assistito, il blocco in Emilia-Romagna
I provvedimenti regionali sospesi dal Tar erano stati approvati dalla giunta dell’Emilia-Romagna nel febbraio 2024 proprio per gestire le ricadute pratiche della sentenza della Corte costituzionale del 2019. Dopo il pronunciamento della Consulta, infatti, in assenza di una legge nazionale, le strutture sanitarie avevano iniziato ad applicare la decisione in modo disomogeneo, creando un quadro frammentato: i pazienti che chiedevano il suicidio assistito si trovavano ad affrontare tempi di attesa anche molto lunghi, risposte differenti da un’Asl all’altra e procedure spesso poco chiare. Ecco allora che alcune regioni – tra cui l’Emilia – hanno cercato di risolvere la situazione stabilendo risposte concrete alle domande lasciate in sospeso dalla sentenza: chi può chiedere il suicidio assistito? In quanto tempo deve ricevere una risposta? Chi verifica che tutto sia in regola? In particolare, la Regione Emilia-Romagna aveva creato una commissione dedicata a verificare i requisiti dei richiedenti e fissavano tempistiche precise per le risposte, oltre a definire chi dovesse fornire il farmaco letale, aspetto che altrimenti ricade interamente sulle spalle dei malati e delle loro famiglie.
La vicenda, tuttavia, ha assunto presto rilevanza nazionale quando, il 12 aprile, anche il governo – attraverso la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero della Salute – si è unito alla battaglia legale, presentando un proprio ricorso al Tar contro la Regione. Al centro della disputa c’è una questione di competenze: chi può decidere sulle regole del fine vita? Le Regioni, che gestiscono la sanità sul proprio territorio, o lo Stato, che dovrebbe garantire diritti uniformi a tutti i cittadini italiani? La consigliera Castaldini, vedendo che una terza persona stava iniziando la procedura di suicidio assistito in Emilia, ha chiesto e ottenuto dal Tar di bloccare subito l’efficacia delle delibere, in attesa di una decisione definitiva.
Questo blocco, però, non ferma completamente l’accesso al suicidio assistito. L’Associazione Luca Coscioni, che da anni si batte per il diritto al fine vita, ha ricordato un punto fondamentale: la sentenza della Corte costituzionale resta valida e applicabile in tutta Italia. “Anche senza una legge regionale o una delibera, la sentenza Cappato va applicata, lo prevede la Costituzione“, ha spiegato Filomena Gallo, segretaria dell’associazione. Ciò significa che i malati possono ancora richiedere il suicidio assistito, ma senza le regole regionali non hanno più garanzie sui tempi di risposta e sulle procedure da seguire. In pratica, senza queste linee guida, le persone malate potrebbero trovarsi in un limbo burocratico, senza sapere quando e come otterranno una risposta alle loro richieste.
Perché le regioni si muovono da sole?
Per capire la situazione occorre fare un passo indietro. Nel 2019, con la sentenza numero 242 (chiamata anche “sentenza Cappato” dal nome del politico che accompagnò Dj Fabo in Svizzera per il suicidio assistito), la Corte costituzionale ha stabilito che aiutare qualcuno a porre fine alla propria vita non è più un reato se sono presenti quattro condizioni (le cui interpretazioni sono ancora oggetto di dibattito legale): la persona deve essere affetta da una malattia irreversibile, deve soffrire in modo intollerabile, deve essere pienamente consapevole delle sue scelte, e deve dipendere da trattamenti di sostegno vitale come la ventilazione artificiale. Dal 2019, sei persone in Italia hanno potuto accedere al suicidio assistito grazie a questa sentenza, l’ultima in Lombardia pochi mesi fa. Tuttavia, in mancanza di una legge che stabilisca procedure chiare, chi vuole accedere a questo diritto spesso si trova ad affrontare ostacoli burocratici, risposte tardive e percorsi poco definiti.
Per questo motivo, alcune regioni hanno deciso di muoversi autonomamente. Oltre al caso dei provvedimenti dell’Emilia-Romagna, anche la Toscana ha approvato una legge che stabilisce tempi certi: 37 giorni per completare l’iter burocratico, contro i 6-24 mesi che può richiedere un percorso senza regole chiare. Un altro problema concreto riguarda l’accesso al farmaco letale: senza le regole regionali, i pazienti autorizzati devono procurarselo da soli, mentre le normative locali prevedono che sia il Sistema sanitario a farsene carico. La legge toscana, ad esempio, ha stanziato 10.000 euro all’anno proprio per questo scopo.