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giovedì, Lug 09

Sul nuovo ponte di Genova il Governo può salvare la faccia all’ultimo minuto?



Da Wired.it :

Due anni di incertezze per ritrovarsi di fronte al nuovo ponte con una situazione surreale: assegnato ad Autostrade, lo stesso concessionario che gestiva quello crollato. Ed è difficile uscire dall’impasse senza danni

Il ponte Morandi dopo il crollo del 14 agosto 2018 (foto: ANDREA LEONI/AFP/Getty Images)

Non era difficile immaginare un’umiliazione del genere. Cioè arrivare alla vigilia dell’inaugurazione del nuovo ponte di Genova progettato da Renzo Piano e costruito in tempi record sulle macerie del Morandi crollato il 14 agosto 2018 senza aver sbrogliato il nodo delle concessioni autostradali. Un dossier, come molti altri aperti sul tavolo del governo, che si sarebbe dovuto chiudere nel giro dello scorso anno. Prima le turbolenze sulla legge di bilancio, poi quelle sulla tenuta della maggioranza, infine la mostruosa crisi per l’epidemia hanno travolto ogni scadenza e ogni urgenza, traghettandoci a un appuntamento surreale per quanto tecnicamente obbligato: la consegna del viadotto nuovo di zecca allo stesso concessionario che gestiva quello crollato con le vite di 43 persone e il destino di mezza Liguria. Roba da teatro dell’assurdo.

Un passaggio temporaneo ma insopportabile per i parenti delle vittime ma in fondo per chiunque conservi un po’ di amore per il buon senso e la dignità nazionale (fra l’altro, in Italia non c’è mai da fidarsi delle soluzioni temporanee) che si potrebbe però evitare all’ultimo minuto. Perché la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, dem che all’inizio di giugno ha avviato il percorso obbligato ora assediata dai 5 Stelle, vuole modificare il “decreto Genova e consegnare l’opera al commissario Marco Bucci, sindaco del capoluogo ligure. Non, dunque, ad Autostrade per l’Italia. Vedremo se ci riuscirà in tempi rapidi: il ponte va inaugurato entro il 14 di agosto a meno di due anni esatti dalla tragedia. Ma bisogna pur dire che il M5S ha governato un anno abbondante prima del nuovo esecutivo col Pd e nulla ha ottenuto, nella fase della maggioranza gialloverde. Il bue pentastellato che dice cornuto all’asino democratico.

Probabilmente è quella la strada più indicata: qualunque cosa ne pensi Giuseppe Conte, sarebbe a dir poco miracoloso se dopo due anni di sostanziale propaganda sul punto – questo si è fatto, da parte di quasi tutti i partiti – in settimana si arrivasse a una revoca definitiva. Sarebbe un’accelerazione quasi impossibile. Non si cambia azionariato a una società alla quale sono state rimescolate le carte in tavola (il decreto Milleproroghe dello scorso gennaio ha modificato i termini di un eventuale indennizzo in caso di revoca da 23 a 7 miliardi secondo le stime) nel giro di una notte. E rimane da capire se Aspi, controllata all’88% da Atlantia a sua volta nelle mani delle holding della famiglia Benetton, accetterà alla fine di scendere sotto il 51%, svendendo le quote a Cassa Depositi e Prestiti o al fondo F2i. Insomma, ogni mossa è ancora possibile e le soluzioni “ad horas” che si augura l’avvocato non sembrano affatto dietro l’angolo, a meno di uno strappo storico.

Lo spazio, stretto ma certo percorribile, potrebbe tuttavia esserci: sembrerebbe infatti averlo aperto la decisione della Corte Costituzionale, che ha rigettato le ordinanze del Tar della Liguria dando ragione al governo e bocciando le questioni di costituzionalità sollevate dai giudici amministrativi liguri sull’esclusione di Aspi dalla ricostruzione. Insomma, “l’eccezionale gravità dei fatti” consentiva all’esecutivo di approvare quel decreto e di far fuori la concessionaria dai lavori, imponendole al contempo di pagarli così come gli espropri. Quei procedimenti finiranno su un binario morto e al contempo la pronuncia della Consulta consegna a Conte una carta pesante da giocare con Atlantia: o accettate la maggioranza pubblica, un sostanzioso piano di investimenti e manutenzione e il taglio dei pedaggi oppure addio. Lo smacco per la figura del presidente del Consiglio sarebbe insostenibile: finirebbe per essere il premier che ha riconsegnato un ponte crollato a chi  lo aveva in tutela quando è crollato portandosi giù tutte quelle vite.

Peccato che quella carta il governo l’avesse già in mano: era appunto costituita dal dramma del crollo, dal dolore per i morti, dall’enormità di un evento simile che chiedeva chiarezza politica e credibilità. E invece ha partorito demagogia nell’immediato e pochi fatti nel medio periodo, sfociando nell’imbarazzante nodo di questi giorni. “Al di là delle verifiche penali di quello che farà la magistratura con la sua inchiesta – disse conte il 15 agosto 2018 – noi non possiamo aspettare i tempi della Giustizia. Il Governo, nell’atto di disporre nuove concessioni, sarà molto più rigoroso nella valutazione delle clausole. Andremo a rivedere i contratti di servizio per rendere più stringenti i vincoli”. Parole al vento, oltre che pericolose: alla fine, con l’indagine che non è ancora approdata all’udienza preliminare e la concessione ferma a due anni fa, è stata una gara a chi si è mosso meno e la vicenda è sprofondata nella melma.

Solo la ricostruzione del ponte, e come sempre la decisione della Corte che toglie troppo spesso le castagne dal fuoco alla fragile politica italiana, hanno scosso la questione. Troppo poco e troppo tardi: qualsiasi cosa accada ora sarà una soluzione a metà sia per la giustizia che per la gestione di tremila chilometri delle nostre autostrade.

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[Fonte Wired.it]