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mercoledì, Set 16

Sul Recovery Plan siamo già in ritardo



Da Wired.it :

Altri governi si sono già mossi in modo più deciso, quello italiano sembra ancora in alto mare. Ma gennaio è dietro l’angolo e in mezzo ci sono elezioni regionali, leggi di bilancio e altre crisi possibili

(Photo by Antonio Masiello#POOL /Augusto Casasoli/ POOL via Getty Images )

Così intensamente l’abbiamo chiesto, e per primi, travolti dalla pandemia, quanto c’è da scommettere che sul Recovery Fund arriveremo per ultimi. Anche stavolta. Appena alla fine di luglio Giuseppe Conte spiegava che “dobbiamo presentare i progetti entro il 15 ottobre in modo da poter aspirare alla possibilità di prefinanziamento del 10% che è stata predisposta appunto per chi li presenta in questa prima finestra temporale”. Per il momento, quella scadenza appare fantascientifica. C’è semmai già da preoccuparsi per gennaio, il termine ultimo per un piano organico e dettagliato di investimenti per i 209 miliardi assegnati nel corso dei prossimi anni all’Italia. Nei giorni scorsi, per esempio, è trapelata una fantomatica bozza contenente quasi 600 progetti di ogni genere e tipo per un importo complessivo di 667 miliardi di euro. Bozza smentita dal ministro degli Affari europei Enzo Amendola, che ha spiegato come risalisse “a uno stadio iniziale dei lavori con ipotesi e proposte già ampiamente superate” e ha sporto denuncia sulla loro diffusione. Bene ma non benissimo.

Domani arriveranno indicazioni più precise dal collegio dei commissari su come presentare al meglio i piani nazionali, sulla base di un modello dove indicare spese, tempistiche e obiettivi. Tecnicismi a parte, La Stampa spiega come la sensazione di molti, a Bruxelles, sia che alcuni governi si trovino ancora in alto mare nella definizione delle loro priorità. Se la Francia ha già presentato il suo piano, la Spagna ha inviato la ministra dell’Economia Nadia Calviño nella capitale belga per incontrare i commissari coinvolti. Così come il governo portoghese, che si è già mosso addirittura con una delegazione per chiedere chiarimenti agli organi competenti. Sebbene il dialogo con Roma non manchi, dalla capitale italiana per ora ci si muove ancora girando qualche slide. Si temporeggia.

Tutti raccomandando di “non sprecare questa chance irripetibile” (il ministro del Tesoro Gualtieri), Conte ha spiegato addirittura fra gli studenti di Norcia che “se perdiamo la sfida potete mandarci a casa”. Eppure di percorsi chiari ancora non se ne vedono. Prendendo per buona la smentita di Amendola, i rischi da schivare sono comunque enormi. I fondi devono infatti finire alla crescita sostenibile, con investimenti in verde e digitale, e con ottica di medio-lungo periodo. Il Recovery Fund non dovrebbe cioè servire al sostegno anticiclico, almeno non come utilizzo diretto, ma regalare al paese il salto di qualità che non ha mai fatto sul piano delle riforme strutturali: pubblica amministrazione, scuola, obiettivi climatici, infrastrutture (ma di un certo tipo). Il tutto con un monitoraggio serrato, che richiederà un controllo continuo nella patria delle mafie e della corruzione diffusa. Intorno a questi punti, non ad altri, dovranno ruotare i progetti che presenteremo e di cui al momento non c’è neanche l’ombra. Nelle scorse settimane i telegiornali hanno provato a elencare i settori più interessati, finendo col confezionare servizi grotteschi in cui si citava sostanzialmente ogni articolazione della società, dalla scuola al digitale. Segno che di carne al fuoco, per il momento, siamo ancora alla fase, che conosciamo bene, dell’assalto alla diligenza.

Speriamo quindi che dal comitato interministeriale Affari europei, che se ne sta occupando, non salti fuori l’ennesima lista della spesa, stavolta in formato monstre, che va dai bonus alle rottamazioni, dalle tasse alle assunzioni pubbliche, dalle prebende assortite ai favori industriali. Quella roba si fa col bilancio dello Stato e finanziandosi sui mercati: con le sovvenzioni europee bisogna preparare il futuro alle generazioni più giovani fiaccate prima dalla crisi finanziaria del 2008 e poi mandate completamente al tappeto dal trauma del coronavirus. Lo ha ripetuto non più di un mese fa anche Mario Draghi: “Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza“. Molti hanno osservato settimane fa, con la solita scrollata di spalle, che l’ex governatore della Bce diceva cose condivisibili ma scontate: ci si comincia adesso a rendere conto di come fosse un messaggio molto preciso anche e soprattutto sui piani di ripresa da presentare domani mattina.

Già, domani mattina. Se ai cittadini che sono appena usciti dall’estate l’autunno sembra molto lungo, in realtà per i tempi della politica gennaio è dietro l’angolo. E il governo italiano ha di fronte una serie di altre possibili crisi che potrebbero rallentare drasticamente la capacità di preparare un piano all’altezza delle attese di Bruxelles. All’altezza cioè di quelle sacrosante riforme, dalla concorrenza all’ambiente fino alla competitività, che ogni anno l’Ue chiede nelle sue raccomandazioni, e che vengono scientificamente ignorate dagli esecutivi di turno.

Anzitutto ci sono le elezioni regionali di domenica e lunedì prossimi, insieme al referendum di cui però, alla fine, tutti si intascheranno la scontata vittoria del Sì. Se il centrosinistra dovesse perdere la Toscana, e magari anche la Puglia, chiudendo con un clamoroso 5-1, Nicola Zingaretti dovrebbe dimettersi e la tenuta del governo ne uscirebbe fatalmente infiacchita. Conte perderebbe il suo più fidato alleato. Se, al contrario, le regioni storiche si salveranno, al segretario dem toccherà infine salire in barca e sporcarsi le mani nel Conte Bis, per dare al Pd quel che un anno di governo non ha fruttato. Poi – tenendo da parte la gestione dell’epidemia – ci sono le scadenze economiche, quelle della legge di bilancio: è vero che ne abbiamo già fatte praticamente tre e in tempi record, ma quella finale prenderà su di sé tutto il peso di un anno senza precedenti, tutti i fronti ancora aperti e le infinite ferite da ricucire. Può farcela Conte a guidare anche il lavoro sul Recovery Plan? Non è forse già in ritardo, visto tutto quello che lo aspetta fra ottobre e dicembre?

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[Fonte Wired.it]