Il discorso più rilevante, almeno per i lettori di Wired, è senz’altro quello che affronta l’evoluzione delle intelligenze artificiali, affrontata con approccio inizialmente vago. Le modalità della disamina, dapprima, sono un po’ spiazzanti: Sunny è il perfetto automa asimoviano, servizievole, gentile, amichevole, di supporto. Ha una personalità solare, impara e assimila comportamenti e mentalità sempre più umani, è intraprendente e salace. Joanna Sotomura, che presta la sua voce al robot, è bravissima nel trasmettere attraverso le fluttuazioni della voce, del tono e del timbro la complessa e cangiante personalità del suo personaggio. Non c’è di fatto, una riflessione sulla natura delle Ai nella prima parte della narrazione, che mira invece ad ammorbidire sia Suzie sia lo spettatore incattivito da migliaia di pellicole sulle Ai perfide nei confronti di Sunny come persona. Sunny si presenta come personaggio più umano della serie e come un’Ai che può essere leale o inaffidabile, amabile o vendicativa, protettiva o pericolosa.
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È solo dopo una repentina virata che il discorso sulle Ai si fa serio, ma sembra in un’ottica umanista piuttosto che scientifica, corredato da una riflessione sui limiti dell’intelligenza artificiale e la sua programmazione e sul libero arbitrio. La tematica prevalente nella prima parte è piuttosto quella della solitudine e dell’isolamento. Attraverso Suzie e i toni della commedia più nera e pungente, lo show mostra il lato oscuro dell’era di internet e di un futuro imminente dove converseremo sempre più con le versioni avanzate degli assistenti virtuali che con persone in carne e ossa, e questo basterà a soddisfare il minimo sindacale necessario per continuare a esistere come creature sociali. Rashida Jones si allontana dalle corde – per lei più tipiche – della commedia, per addentrarsi nei meandri del sarcasmo e del cinismo. A volte il suo cinismo e la sua amarezza sfiorano vette cosmiche, esasperate dal contrasto con l’inossidabile esuberanza e ottimismo di Sunny.