Il tatto è il senso che ci consente di sentire gli oggetti e le persone, completando le altre percezioni sensoriali. Il tatto artificiale rappresenta lo sforzo di ricreare una versione del senso che possa essere sfruttata tanto dagli automi (persino Amazon si è lanciato nella corsa con il robot da magazzino Vulcan) che in ambito protesico. In quest’ultimo campo, diversi gruppi di ricerca sono al lavoro per dotare le protesi di un senso del tatto artificiale che mimi quello naturale. Come vi abbiamo più volte raccontato, è un campo molto attivo, e molti degli esperimenti fatti hanno utilizzato delle protesi dotate di sensori capaci di attivare fibre nervose negli arti amputati, e di qui di restituire le sensazioni del tatto fino al cervello. Va invece in un’altra direzione l’esperimento sul tatto artificiale a cui è dedicato uno degli ultimi studi apparsi sulle pagine di Nature Communications.
Un senso del tatto artificiale che parta dai pazienti
In questo caso infatti, raccontano dall’Università di Pittsburgh e di Chicago, i ricercatori dietro al progetto hanno ricostruito le percezioni tattili a partire dall’esperienza dei pazienti. Ovvero: nello studio sono state arruolate tre persone con tetraplegia per lesioni spinali, ma con minime capacità di controllo degli arti e deboli attività sensoriali alla mano destra, ma giudicate dagli stessi partecipanti come “innaturali”. In questi pazienti sono stati impiantati dei microelettrodi nel cervello (a livello della corteccia somato-sensoriale), che potevano essere stimolati per indurre la percezione di determinate sensazioni nella mano destra. Ma come sono stati utilizzati esattamente?
L’esperimento per ricreare un tatto artificiale
La strategia è stata quella di coinvolgere i pazienti stessi nella costruzione del tatto artificiale, così da rendere le sensazioni percepite il più possibile simili a quelle evocate in ciascuno da determinati oggetti. I ricercatori si riferiscono a questo processo come “mappatura sensoriale”. In pratica diversi oggetti, cui si associano diverse sensazioni – come una fetta di pane tostato, un gatto, una chiave o una mela – venivano mostrate su un tablet. Sfruttando le residue capacità di movimento dei pazienti, i ricercatori hanno chiesto ai partecipanti di muovere dei cursori digitali per trovare la giusta combo di sensazioni evocate nella mano (tramite una diversa stimolazione degli elettrodi) che potessero secondo loro meglio adattarsi all’oggetto via via rappresentato. Ma non solo, come riferiscono gli esperti: “al termine di ogni fase di mappatura sensoriale degli oggetti, i partecipanti hanno descritto le loro esperienze sensoriali. Questi resoconti contenevano vivide esperienze sensoriali appropriate all’oggetto”. Che vuol dire? Per esempio che una mela è stata descritta come liscia, curva, fresca e umida, il pelo di un gatto setoso e caldo, suggerendo che sembrava tutto funzionare ed apparire abbastanza vero.
Il tatto artificiale alla prova
Dopo la fase di training (sono state diverse decine le sessioni per ciascun partecipante) si è passati alla fase di test, in cui, in base ai dati raccolti i partecipanti dovevano indovinare quale oggetto si nascondeva dietro uno schermo nero. In questo caso infatti i pazienti ricevevano solo delle stimolazioni specifiche, sulla base di quanto fatto in precedenza, ma non vedevano nulla. I risultati hanno mostrato che era difficile per i partecipanti riconoscere esattamente l’oggetto evocato, sì, ma le scelte che facevano non erano dettate dal caso, a dimostrazione che le stimolazioni ricevute erano informative sebbene non così chiare. Ovvero il tatto, pur non ristabilito effettivamente, poteva essere rievocato. “Ai partecipanti è stato chiesto di svolgere un compito davvero difficile: distinguere tra oggetti diversi solo attraverso la sensazione tattile. E, nonostante la difficoltà, ci sono riusciti – ha commentato Robert Gaunt, della Università di Pittsburgh, tra i ricercatori coinvolti – Anche gli errori che hanno commesso erano prevedibili: era più facile confondere un gatto con un asciugamano – entrambi morbidi – che con una chiave”.
Lo studio ha confermato che si può lavorare anche in questa direzione per lo sviluppo di nuove protesi. “Attivando questa regione del cervello (la corteccia somato-sensoriale, nda) tramite stimolazione elettrica, abbiamo la capacità di evocare sensazioni intuitive che possono assomigliare alle caratteristiche del tocco evocato naturalmente”, scrivono nel loro articolo gli autori, sottolineando come anche la vista partecipi all’induzione di questo tatto artificiale. E sfruttare gli input che arrivano dai pazienti per sviluppare un tatto artificiale, ha aggiunto Ceci Verbaarschot, la ricercatrice prima firmataria del paper, potrebbe aiutare a renderlo più reale, e magari aumentare anche l’accettazione di future protesi.