The Blues Brothers dopo 45 anni è ancora vivo e vegeto in mezzo a noi, è ancora uno dei film più amati, popolari e influenti di tutti i tempi, un folle miracolo che usciva in sala il 20 giugno 1980, andando incontro ad un successo folgorante. Come e perché sia stato possibile e che posto occupa nella storia del cinema questo mix di generi assolutamente senza precedenti è da allora oggetto di viva discussione.
Una meravigliosa follia nata tra mille traversie
The Blues Brothers da 45 anni ci ricorda che il successo è una cosa, il mito è un’altra. Per diventare mito, devi arrivare al momento giusto, al posto giusto, essere stato creato dalle persone giuste e soprattutto essere animato da quell’anarchia, quello spirito di ribellione, quell’anima rivoluzionaria, che fa la differenza tra un film e una manifestazione della settima arte. The Blues Brothers ancora oggi è tutto questo, nasce le, per volontà di John Landis, di John Belushi, di Dan Aykroyd, venendo creato su quel finire di anni ’70, in cui l’America stava cambiando, in modo a dir poco profondo ed evidente. Tutto comincia con il Saturday Night Live, già all’epoca lo show televisivo per eccellenza della stand up comedy. John Belushi, animale da palco assurdo, anima inquieta e imprevedibile, incontra Dan Aykroyd, questo strano canadese, appassionato come lui di blues. Dentro al tubo catodico all’improvviso, il mondo ci trova questi due strani personaggi, vestiti come dei becchini.
Ma Joliet e Jake, armati di occhiali da sole, in tutto e per tutto riprendono il meglio della coolness della comunità afroamericana, celebrano e onorano ciò che la black culture già all’epoca ha donato al mondo, in termini di stile, ma soprattutto di cultura, non solo quella musicale si badi bene. Sarà un successo talmente folgorante, che quando pensano di voler andare sul grande schermo, ne viene fuori un’asta assurda, che verrà vinta dalla Universal. Dan Aykroyd si metterà giorno e notte a scrivere la sceneggiatura, che verrà fuori talmente titanica e allo stesso tempo così caotica, da costringere John Landis agli straordinari per cavarci fuori un qualcosa che assomigli, anche solo vagamente nella struttura, allo script di un lungometraggio. Litigi, contrasti, alla fine Landis accetterà di filmare tutto lo script, salvo poi tagliare quanto sa che serve in fase di montaggio. Ma prima, prima la produzione di The Blues Brothers sarà una delle più folli, anarchiche e imprudenti della storia.
Il budget iniziale di 18 milioni di dollari viene bruciato nel giro di pochissimo, le riprese sono faticose, interminabili, soprattutto a causa dei problemi che già affliggono già un Belushi inseguito dalla tossicodipendenza, oppure protagonista di eccessi reputati inaccettabili persino all’epoca, quando su ogni set cinematografico o quasi la cocaina, l’eroina, insomma ogni sostanza stupefacente e lì, pronta ad essere usata da chiunque. Una parte del budget sarà addirittura destinata alla fornitura regolare per Belushi ed altri membri del cast, tra cui Carrie Fisher. Poi ci sono le auto, tante auto, quelle che saranno protagoniste dell’inseguimento più catastrofico di sempre visto in sala, senza dimenticarsi poi dei costumi, le comparse. Siamo nell’America di fine anni ‘70 si è detto, è appena finita l’era di Muhammad Alì e delle Pantere Nere, al cinema la blaxploitation ha contribuito a creare il cambiamento totale del rapporto tra le minoranze, la industry e la società.
La comunità afroamericana in quegli anni ha trovato nello sport, nelle arti e anche nella politica, una posizione di inedita visibilità. James Brown, Cab Calloway, Ray Charles, Aretha Franklin, non a caso saranno nel film proprio per celebrare tale momento, che però è da molti inviso. Ad una grossa fetta di America non piace che i le persone nere siano viste come un esempio e non a caso, venuta a sapere dei problemi produttivi, farà il tifo sfegatato per il fallimento. Ma non è solo questo che renderà The Blues Brothers un film rivoluzionario, con i due “fratelli” mezzi criminali, che rimettono insieme una vecchia band per pagare i 5.000 dollari con cui salvare l’orfanotrofio in cui sono cresciuti. E allora via a bordo della Bluesmobile, tra concerti, improvvisate, nazisti dell’Illinois, poliziotti, la ex di Belushi con il mitra e intermezzi musicali semplicemente irresistibili. Ma sotterranea, c’è la ribellione, c’è la demenzialità che diventa arma con cui il duo e Landis, si fanno beffe del moralismo ipocrita di allora.
Più che un film, un vero e proprio atto di ribellione
John Landis, prima di cadere in disgrazia, è stato soprattutto il regista più antiamericano e politicamente più tranchant della sua generazione, capace però di coprire tale natura polemica, con una comicità irresistibile, sceneggiature folgoranti, personaggi magnifici. Così come per Una poltrona per due, per Animal House e Il Principe Cerca Moglie, pure in The Blues Brothers critica le istituzioni, i cardini valoriali del suo paese, e l’americano medio, quello che ha fatto eleggere per due volte Richard Nixon e che tra poco porterà la Casa Bianca Ronald Reagan. Niente e nessuno viene risparmiato in questo film che celebra la black culture facendola rappresentare da due bianchi, espediente che stranamente sopravvissuto alle critiche degli ultimi anni circa l’appropriazione culturale perché, ed è questo un dato di fatto, da certi punti di vista John Belushi e Dan Aykroyd sono troppo folli, troppo perfetti e troppo potenti per essere messi in discussione, persino oggi.