Man mano che Mona sprofonda nella dimensione onirica e in quella della follia, a fare più paura dello stato di disorientamento perenne e di delirio in cui versa la protagonista è la solitudine in cui sprofonda. È nell’approccio della Rasmussen alla storia di Mona come donna oggetto del gaslighting del partner prima e dei medici dopo, che Marerittet colpisce e funziona benissimo. Il graduale crollo psicologico di Mona inizia con le incessanti pressioni di Robby che usa “io” come “noi” – “noi vogliamo che Mona ristrutturi da sola la casa”, “noi vogliamo un figlio” e così via. Robby insinua che il rifiuto della maternità di Mona sia da imputare alla sua psicosi, ma la verità è che lei è dilaniata dalle pressioni sociali esterne come donna, come partner, come non-madre.
C’è anche il gaslighting medico, il più disgustoso di tutti, al centro di una scena disturbante nella quale il ginecologo cerca di far cambiare idea a Mona sull’aborto, chiedendole perché non vuole tenere il bambino, pretendendo che lei giustifichi la sua scelta, e poi richiedendo l’approvazione del padre e mostrandole lo sviluppo del feto. The Dark Nightmare affronta la riflessione sul femminile contemporaneo scandagliando le profondità dei danni provocati dalle continue pretese e pressioni che la donna – specialmente se non madre – subisce incessantemente. Alla fine, non importa se il mostro che perseguita Mona è reale o la manifestazione di quelle oppressioni di genere: quello che subisce Mona è orribile e basta.