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The End di Joshua Oppenheimer con Tilda Swinton e Michael Shannon, la nostra recensione di un capolavoro mancato

da | Lug 4, 2025 | Tecnologia


In un ciclo e riciclo di routine infinite da Giorno della marmotta (reso ancora più esasperante dalla lunghezza – due ore e mezza – del film) questo gruppetto di sopravvissuti esiste in una dimensione tra l’irreale e il surreale, apparentemente non intaccato dai sensi di colpa (per aver lasciato dietro di sé genitori e figli, per aver reso il mondo la landa desolata che è). L’equilibrio è incrinato dall’arrivo della Ragazza (Moses Ingram) che è riuscita a intrufolarsi nelle caverne in cerca di un rifugio e porta con sé il potere dirompente della sua mera presenza. Una dinamica tesa e disturbante scaturisce dallo scontro tra aristocrazia e proletariato, tra illusione e realtà, tra bugie e verità. I sentimenti repressi vengono esternati attraverso canzoni da musical hollywoodiano anni ’50 tutt’altro che memorabili firmate da Joshua Schmidt e Marius de Vries (che pur dalla sua ha Moulin Rouge), melodie fastidiose e discordanti che feriscono l’udito mentre lo sguardo è lusingato dall’eleganza estetica di scenografie e fotografia. L’arrivo della Ragazza scatena reazioni ambivalenti e subdole, ma sono microscopiche scosse telluriche in un dramma che non esplode mai: l’unico modo per sopravvivere in quel microcosmo fragile e alienato è tramite impercettibili assestamenti.

The End di Joshua Oppenheimer con Tilda Swinton e Michael Shannon la nostra recensione di un capolavoro mancato

The End è politicamente tiepido: si concentra più sull’analisi di come ci si potrebbe da sopravvissuti e da complici di una catastrofe, piuttosto che sulle dinamiche scatenate dalla tensione sociale tra classe alta e bassa che si abbatte sui protagonisti, affetti da sistematica dissonanza cognitiva. Oppenheimer si perde nei meandri splendidamente arredati dell’isolamento di classe, piuttosto che approfondire la discussione politica e il discorso ecologista, adottando uno sguardo compassato che sembra inadeguato, frenato, poco proporzionato all’ambizione del suo debutto narrativo dall’afflato operistico e dalla messa in scena teatrale. Monotono e stonato (le canzoni sono troppo mediocri per essere di sollievo al pubblico di un film che subisce 150 minuti di banale e reiterata quotidianità), quello di Oppenheimer è un progetto accattivante e geniale ma finisce per stare più dalle parti del melodramma magniloquente che del capolavoro. Magari ci siamo sbagliati, e diventerà un cult? Vedremo.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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