The Exorcism of Emily Rose parte facendoci conoscere l’avvocato Erin Bruner (Laura Linney), atea, razionale, ambiziosa. Deve prendere le difese di Padre Richard Moore (Tom Wilkinson), prete cattolico sulla cui testa pende un’accusa terribile: omicidio colposo. La vittima è Emily Rose (Jennifer Carpenter), sottoposta da lui ad un esorcismo e deceduta durante la pratica. Il caso ha avuto un enorme impatto mediatico, motivo per cui la Bruner è decisa a portarlo avanti, onde ottenere una vittoria fondamentale. Tuttavia, nel momento in cui comincia a difendere Moore, si ritrova ad essere vittima di visioni e presenze inquietanti, quasi sempre alle 3 esatte del mattino. Fatto ancora più sorprendente, benché sicuro della sua innocenza legale, Padre Moore risulta essere non un fanatico, ma un uomo pieno di dubbi, benché sicuro della possessione di Emily. Di tutt’altro avviso è il Procuratore Thomas (Campbell Scott), che in aula porta medici ed esperti, parla di schizofrenia, epilessia, suggestione, disturbi mentali e comportamentali. The Exorcism of Emily Rose è dominato non tanto dalla trama in sé (comunque ben congegnata) ma dal cast. Linney, Wilkinso, Scott e Carpenter sono simboli di una contrapposizione, di un’ambiguità, generano un effetto di stordimento nello spettatore, diviso come la protagonista tra la tentazione di credere alla possessione di Emily e la razionalità di una spiegazione logica. Ovviamente il film sposa la prima ipotesi e lo fa, bisogna dirlo, con una messa in scena straordinariamente efficace. La Carpenter è protagonista di una performance incredibile dal punto di vista fisico-espressivo, la sua Emily è letteralmente un pupazzo nelle mani di forze oscure.
Un processo che diventa un elenco di teorie e punti di vista
The Exorcism of Emily Rose è a metà tra il legal-drama e il film demoniaco. La scena della possessione finale, dell’esorcismo, sono terrificanti, una dimostrazione di grande talento registico e di grande cura estetica. Si strizza l’occhio non solo al film di William Friedkin, ma anche al cinema gotico, al giallo, con un piglio sovente semi-documentaristico, spesso sovvertito improvvisamente da escamotage sonori e visivi vecchio stile, che aumentano la sensazione di verosimiglianza. Regia dinamica, ma la realtà è che questo è un film classico, molto classico, ed è proprio da tale elemento che trae la sua maggiore forza. Wilkinson è forse il vero asso nella manica, con il suo padre Moore che è ad un tempo vittima e assieme carnefice, dipende dal punto di vista. The Exorcism of Emily Rose è intrigante quando contrappone la testimonianze in aula, le diverse teorie, generando un’equidistanza che solo verso la fine, con la “conversione” di Linney, abbraccia la “vittoria” della fede. La sentenza sarà curiosa: colpevole, ma la pena viene definita come già scontata. Un pareggio, potremmo dire, che ben rappresenta anche l’anima stessa di un paese, gli Stati Uniti, in cui il cozzare tra religiosità onnipresente e la volontà di una stabilità laica che è costretta, sempre, ad adattarsi a questa componente. Lo sconfitto alla fine è il povero Thomas, spirito logico e neutro, ignaro delle visioni demoniache, dei pericoli reali che Linney affronta, ma bene o male àncora di razionalità in un’aula che diventa una sorta di show ecclesiastico. Un film forse poco coerente, certo, ma incredibilmente accattivante, ben diretto e capace di generare interesse anche nei profani, in chi a tutte queste storie di demoni, spesso in realtà un miscuglio di roba strana, non ci crede.
Eppure, proprio grazie a tale capacità di essere accessibile anche al pubblico generalista, il suo staccarsi dall’essenza di horror tout court, saranno alla base del successo incredibile al botteghino di The Exorcism of Emily Rose. Costato “solo” 20 milioni, ne incasserà 145, più tutto il resto dall’home video. Scott Derrickson verrà lanciato dal film, negli anni a venire dirigerà film come Ultimatum alla Terra, Sinister, Doctor Strange e Black Phone. Ma soprattutto, questo film aprirà ad una rinascita del sottogenere horror basato sugli esorcismi, celebrato l’anno dopo da quel Requiem di Hans-Christian Schmid, ispirato alla stessa reale vicenda, ma con una caratura autoriale molto superiore. Da quel momento, sul piccolo e grande schermo, ci sarà un’invasione di preti, croci, demoni e compagnia bella, basti pensare a titoli come Il Rito, L’Esorcista del Papa, la saga di The Conjuring, L’Ultimo Esorcismo, più una marea di b-movies, commedie, cinema di exploitation che continuano a dare materiale non da poco agli appassionati. Certo, spesso questi film sono stati a dir poco brutti, quasi degli scult, come da ultimo The Ritual. The Exorcism of Emily Rose, bene o male più un film di Derrickson che di Boardman, bigottone ma senza esagerare, rimane però uno dei migliori esempi del genere, anche per la sua bellezza formale, il montaggio di grande caratura, la capacità di tenere sempre tutti col fiato sospeso. A distanza di vent’anni, la critica ha ampiamente rivalutato questo film, perfetto esempio di come si possa aggirare il rischio di ripetitività, omaggiare i topoi senza cadere nel già visto, porre tutte quelle domande che per molti ancora oggi sono senza risposta.



