The Rocky Horror Picture Show approda sugli schermi il 14 agosto del 1975, un’opera di rottura, sovversiva e esuberante, che avrebbe cambiato per sempre la storia del musical e del cinema tutto. Forgiato dalla mente di Richard O’Brien, questo musical è figlio del proprio tempo, gli anni ’70, un decennio in cui divampavano le fiamme di un mondo che si stava risvegliando con occhi nuovi: donne che infrangono tabù secolari, persone omosessuali e transgender che marciano e incrinano la corazza del moralismo. Una rivoluzione culturale che era una riscrittura profonda della parola liberazione, un’infrazione dei codici di comportamento, una dissoluzione dei confini fra individuo e comunità, un’epifania dove il corpo diventa un campo di battaglia, una celebrazione del margine, un rito pagano di gioia e trasgressione.
Quando il film uscì per la prima volta nel 1975, co-sceneggiato e diretto da Jim Sharman, fu ignorato praticamente da tutti, e sarebbe stato dimenticato, se non fosse stato per un dirigente della 20th Century-Fox, che convinse i suoi superiori a riproporlo nei cinema durante gli spettacoli di mezzanotte. Per fortuna, The Rocky Horror Picture Show ebbe un enorme successo e sarebbe diventato un cult indimenticabile, un cabaret anarchico elevato a manifesto prezioso di una generazione, la cui operazione geniale era mettere crisi la monogamia, il matrimonio e il moralismo legato alla nudità e all’affermazione di sé.
Una visita indimenticabile
Veniamo accolti nelle vicende di due giovani, Brad Majors e Janet Weiss, interpretati da Susan Sarandon e Barry Bostwick, che dopo aver partecipato al matrimonio di due amici, forano una gomma durante il viaggio e cercano aiuto per potersi rimettere in marcia. Trovano il factotum Riff Raff, interpretato da Richard O’Brien, e la domestica Magenta, da cui vengono direzionati verso il salone principale di una dimora enorme e stravagante, in cui si sta svolgendo un’esibizione peculiare: la convention dei Transylvani. Fa il suo ingresso il mitico Dr. Frank-N-Furter, interpretato da Tim Curry, potente e carismatico padrone di casa, che presenta ai due ospiti la sua creatura: Rocky Horror. Mentre tutti vanno a dormire, Brad e Janet vengono separati e messi in due camere distinte; Frank coglie l’occasione per intrufolarsi nei letti di Brad e Janet, e lascia che i due ospiti possano indagare per la prima volta la loro sessualità.
The Rocky Horror Picture Show è queerness allo stato puro, un musical che grazie alle sue musiche, agli abiti, al trucco, ai costumi e soprattutto ai temi che mette al centro, come la celebrazione dell’amore libero e l’infrazione di ogni codice morale, è diventata un’opera seminale, inossidabile, un’opera unica nel suo genere, in cui musical e fantascienza trovano uno spazio nuovo per potersi incontrare. L’opera aderisce ai canoni dello stile camp, celebrando l’eccesso, la teatralità, l’irriverenza, con quel suo stile puramente kitsch e barocco; cita ampiamente molti segmenti del cinema horror, come Dracula, Frankenstein, e del cinema fantascientifico, come Ultimatum alla Terra, Destinazione… Terra!, Il pianeta proibito e molte altre pellicole celebri, meno celebri e B-movie. O’Brien ama i film esagerati, pieni di frasi fatte, eroi e trame improbabili. È il gusto per il brutto che diventa delizia: sarà in in un certo modo l’anticipazione dello sguardo tarantiniano sul B-movie. Le pellicole che cita sono talmente note e stereotipate da poter essere ridotte a un paio di parole, scomposte in cliché e persino derise.
Elogio della liberazione
Anche la campagna pubblicitaria del film adottò fin da subito un tono dissacrante: il celebre manifesto con le labbra rosse giganti e lo slogan A different set of jaws citava e prendeva ironicamente in giro Lo squalo di Spielberg, uscito nello stesso anno. Ed è questa la sua più grande forza: ironizza, mette alla berlina, cita in maniera libera e scomposta i film che vuole celebrare, tutto con quello sguardo libero, senza limiti o perimetri tematici.