Sbucato sulla scena letteraria quasi dal nulla dopo studi prima di ingegneria fisica e poi di letteratura e scrittura creativa, Pynchon debuttò nel 1963 con V., un romanzo che sfugge a qualsiasi tipo di catalogazione: enciclopedico e raccontato da diverse prospettive, vede un ex marinaio chiamato Benny Profane e il bizzarro viaggiatore Herbert Stencil (i nomi in questo scrittore sono sempre tanto enigmatici quanto rivelatori) alla ricerca spasmodica e intercontinentale di quest’inafferrabile V. (una donna? un concetto? un paradosso? Chissà). Fin da subito lo scrittore americano stabilisce il suo tono e il suo orizzonte: un linguaggio esuberante, stratificato e ancor di più inaffidabile è messo al servizio di una realtà in cui proliferano le incomprensioni, i soprusi, le paranoie, le cospirazioni e le imprese vane; ad animarle una pletora di personaggi improbabili, sempre marginali, animati da buoni sentimenti ma anche da aneliti il più delle volte assurdi e inutili.
La conferma viene nel 1966 da L’incanto del lotto 49 (The Crying of Lot 49, in originale), che essendo il suo romanzo più breve è anche il più agile e accessibile per chi vuole iniziare a scoprire la galassia pynchoniana. In un’avventura deliziosamente nonsense, una semplice casalinga californiana, Oedipa Maas (i nomi, ancora!), si trova erede di un impero immobiliare che però sembra indissolubilmente legato anche a una società segreta che affonda le radici nel primissimo sistema postale europeo nel Medioevo, e quindi ecco che ordinarie faccende burocratiche e di eredità danno il là a una metafora sull’impossibilità della comunicazione e sui limiti di ciò che crediamo reale. Di salto tematico in salto tematico, il successivo L’arcobaleno della gravità (Gravity’s Rainbow, 1973) lega i progetti per il razzo supersonico tedesco V-2 e la vita sessuale di un soldato americano, così per gradire.
Dopo altri romanzi pubblicati spesso a grande distanza gli uni dagli altri (e sempre con un numero notevole di pagine), Thomas Pynchon è tornato di recente con un nuovo romanzo uscito a ottobre 2025, Shadow Ticket, che è – a 12 anni dal precedente – l’ennesima distillazione della sua espressione letteraria: reinterpretazione del genere hard boiled a base di detective strampalati a lui così caro (anche Inherent Vice ne è un esempio luminosissimo), la vicenda è ambientata nel 1932 quando un investigatore spiantato, Hicks McTaggart, viaggia in un’Europa alle prese con l’avvento del nazismo per rintracciare Daphne Airmont, figlia dell’“Al Capone dei formaggi”, ricco e losco imprenditore caseario di Milwaukee (il formaggio e la malavita organizzata, altre due ossessioni squisitamente pynchoniane). Nonostante la trama si muova nel suo solito magma ingannevole e a tratti inquietante, in Shadow Ticket emerge ancora più chiaro il lato sensuale e spassoso di Pynchon, sempre presente nei suoi scritti ma qui abbracciato con ancora più convinzione esplicita. Nonostante abbia esplorato incessantemente i meandri più contraddittori e oscuri della nostra società, questo scrittore non si è mai dimenticato di quella speranza luminosa regalataci soprattutto dall’immaginazione più sfrenata.



