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mercoledì, Ott 23

Together We Can Stop The Virus, la mostra in realtà aumentata per spiegare l’hiv


Gilead Sciences promuove una mostra gratuita a Milano dal 22 al 27 ottobre che fa parte di una campagna di sensibilizzazione sulla vita e l’accettazione delle persone sieropositive

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Gabriele Genova, Ho qualcosa da mostrarvi, dettaglio dell’opera dedicato allo stigma sull’Hiv

Cinque opere per altrettanti temi legati al virus dell’hiv, cinque opere che si possono fruire anche attraverso la realtà aumentata: è questo il cuore di Together We Can Stop The Virus, la nuova campagna di sensibilizzazione di Gilead Sciences, sviluppata in collaborazione con dieci associazioni di pazienti (Anlaids Onlus, Ala Milano Onlus, Arcigay Onlus, Arcobaleno Aids Onlus, Asa Onlus, Circolo Mario Mieli, Lila – Lega italiana per la lotta contro l’Aids, Nps Italia Onlus, Nadir Onlus, Plus Onlus) e il patrocinio di Icar (Italian Conference on Aids and Antiviral Research). Lo scopo è quello di illustrare varie fasi e vari temi legati a questa condizione (dalla paura della diagnosi all’inizio della terapia ma anche il raggiungimento di una migliore qualità della vita) attraverso una vera e propria mostra gratuita che rimarrà aperta dal 22 al 27 ottobre a Base, lo spazio culturale in via Bergognone a Milano.

Esposti sono cinque pannelli di sei metri d’altezza, realizzati in appena tre mesi, che si animano in vario modo se inquadrati con smartphone o tablet tramite l’apposita app (per iOs e Android) realizzata da Bepart, società specializzata nella fruizione digitale di opere d’arte. Gabriele Genova ha realizzato Ho qualcosa da mostrarvi, dedicata al tema dello stigma; il collettivo Mira rappresenta la diagnosi ne L’importante è saperlo, mentre Viola Gesmundo ha interpretato il tema del trattamento terapeutico nell’opera Verso se stessi. Infine Andrea Zu illustra il successo delle terapie con Luuv Story e Adolfo di Molfetta ha realizzato Niente paura sulla qualità della vita.

Il percorso artistico si snoda attraverso i cosiddetti quattro 90 dell’hiv, gli obiettivi definiti dal programma delle Nazioni Unite Unaids e dalla comunità dei pazienti (che il 90% delle persone affette venga diagnosticato, inizi il trattamento corretto, non abbia tracce riscontrabili del virus nel sangue e abbia una buona qualità della vita). A questo si aggiunge l’ulteriore target di eliminare lo stigma: secondo una recente indagine di Iapac, Fast-Track Cities e Gilead Sciences, ancora il 58% degli italiani sarebbe a disagio nel lavorare a fianco di una persona sieropositiva.

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Un dettaglio dell’opera Luuv Story di Andrea Zu sul tema “undetectable=untransmissable”

In particolare il focus è messo qui sul concetto di undetectable=untrasmissable (U=U, sottolineato anche nell’opera Luuv Story): “Oggi le persone con hiv sottoposte a trattamento e con carica virale non rilevabile possono con certezza scientifica non preoccuparsi più di trasmettere il virus agli altri“, afferma Lorenzo Badia, dirigente medico Malattie infettive dell’ospedale universitario di Bologna, “una persona con livelli plasmatici di virus hiv pressoché non rilevabili per almeno 6 mesi presenta un rischio di trasmettere il virus per via sessuale pari a zero“. Una maggior conoscenza di questi temi e una sensibilizzazione più ampia della popolazione può favorire anche l’accesso senza timori ai controlli e alle terapie, che oggi spesso sono frenati appunto dai pregiudizi della comunità.

Tutti questi obiettivi appunto passano anche da iniziative come questa mostra che vogliono parlare a più persone possibili: “Together vuol dire che dobbiamo essere uniti e che questo ‘stop al virus’ e a tutte le sue conseguenze può essere raggiunto solo tutti insieme: ognuno di noi può fare qualcosa e noi vogliamo essere in prima fila“, ha dichiarato Valentino Confalone, vicepresidente e general manager di Gilead  società biofarmaceutica focalizzata su ricerca e sviluppo di terapie innovative, il cui cuore è stato fin dalla fondazione quello della lotta all’hiv. E Confalone ribadisce: “Noi siamo qui per puntare anche sulla prevenzione, soprattutto per le nuove generazioni che spesso sottovalutano che in passato di questo virus si moriva. Per quello scegliamo linguaggi innovativi per rivolgerci proprio a loro“.

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