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venerdì, Set 13

Tolkien, ovvero come massacrare l’autore de Il signore degli anelli


Un biopic senza originalità, poggiato su registri narrativi desueti, che ci racconta in modo prevedibile uno degli autori più importanti della cultura di massa. Dal 12 settembre al cinema

Un film come Tolkien nel 2019 sembra un reperto archeologico. Un’opera da un’altra era del cinema, una sicuramente più sempliciotta, in cui il cinema fatto in serie di Hollywood, quello fondato su meccanismi rodati e sempre uguali a se stessi, su poche certezze e una valanga di titoli girati l’anno, era la regola. Tolkien è il cinema biografico senza idee, quello che prende un po’ di fatti della vera vita della persona ritratta, li romanza nella stessa maniera in cui si è sempre fatto, cercando di far aderire quella vita al modello preconfezionato di film biografico (un po’ di amore, un po’ di sventatezza giovanile, un po’ di dramma, molta premonizione della grandezza a venire) e si cerca di portare la barca in porto. Una volta era accettabile e accettato, oggi fa sorridere.

Questo è particolarmente fastidioso poi se si considera chi sia il personaggio al centro di Tolkien, cioè lo scrittore J.R.R. Tolkien autore di Il signore degli anelli, Lo Hobbit e gli altri romanzi ambientati nella Terra di Mezzo, e come quest’uomo sia diventato centrale nei mutamenti maggiori nel mondo del cinema e quindi della cultura di massa. È incredibile che sia stato realizzato un film così povero di idee, di audacia e di livelli di lettura della sua vita. Tolkien fin dalle prime scene è un trionfo di posticcio, di trucchi e costumi di plastica in una ricostruzione d’epoca teatrale e da operetta. È solo l’impatto visivo, ma già annuncia ciò che arriverà nella trama.

I nostri anni, grazie al cielo, hanno visto una serie di profonde modifiche al film biografico. Il genere è esploso assieme a tutto il cinema tratto da fatti reali e quindi ha iniziato ad evolversi e ora film come Steve Jobs, Get Up, Stanlio e Ollio, Nureyev sono esempi di come più che raccontare una vita intera si preferisca individuare un momento preciso (o due tre di questi momenti) e farne sineddoche, raccontare solo quello in maniera molto approfondita per suggerire il resto. Tolkien si concentra in maniera molto classica sugli anni della formazione del suo protagonista, si finge moderno ma in realtà compie un ampio racconto come una volta, in cui ogni dettaglio della vita sembra portare il personaggio verso il suo destino, ciò per il quale lo ricordiamo e celebriamo.

La scelta di Nicholas Hoult come Tolkien poi non aiuta. Hoult non ha la caratura per creare un carattere complesso a prescindere dal film, non è un Fassbender, un DiCaprio o uno Spacey, personalità ingombranti che, a prescindere dal film in cui sono inseriti, possono creare da soli il proprio personaggio e animarlo anche solo con la loro forza interpretativa. Hoult ha bisogno del film a sostenerlo e tutto quello che fa questo film è sospingerlo su lidi innocui, vaghi. Il suo Tolkien non ha una personalità chiara, non ha un carattere riconoscibile e invece è sfuggente, distante e vago senza che questo si trasformi in una caratteristica distintiva. Insomma è abbozzato e mai affrontato davvero.

Lo capiamo ad esempio quando con grande convenzionalità vediamo che la spiegazione del futuro del Tolkien bambino sta nei genitori, nel rapporto con loro e in come lo educhino alle storie raccontate, alle mitologie di draghi e cavalieri (come nei migliori romanzetti). Lo capiamo dall’altro luogo comune molto abusato della grande donna dietro il grande uomo, cioè da quanto il film si soffermi sulla relazione di Tolkien con quella che sarebbe diventata la moglie e come anche questa lo abbia indirizzato verso il fantasy (lei lo porta a vedere I Nibelunghi di Wagner raccontandogli come sia la storia di un anello ecc.). Sono tutti dettagli che vengono effettivamente dalla vita di Tolkien ma che il film gonfia e rende pietre angolari, le chiare spiegazioni della creatività. Come se ne esistessero…

Alla fine la tesi sarà che la vita di Tolkien, le sue esperienze, l’adolescenza e gli anni dell’università gli hanno insegnato il valore dell’amicizia e della compagnia, cioè stare insieme con delle persone per arrivare ad un fine, essere uniti da un legame a prescindere dalle diversità (che nella sua vita erano di censo). Questa sarebbe l’ossatura vera del lavoro di Tolkien per il film, una maniera di celebrare l’amicizia e il valore della compagnia tramite un romanzo di draghi ed elfi.

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