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venerdì, Set 11

Tre commercialisti arrestati per corruzione, il sistema Lega è un pozzo senza fondo



Da Wired.it :

Dai 49 milioni svaniti nel nulla alle condanne per le spese pazze fino ai pasticci di Fontana, l’ultima inchiesta sui commercialisti conferma un sistema che in nulla si distingue dagli scandali politici del passato. Anzi

(Foto: Ipa)

Ne sono spuntate così tante, in questi anni, da spogliare la Lega Nord, e poi la sua erede La Lega per Salvini Premier, di ogni genere di credibilità politica. Indagini, arresti, spese pazze, compravendite gonfiate, corruttele di ogni tipo, quattrini pubblici finiti chissà dove, consulenze in odore di mafia (chi si ricorda l’ex consulente Paolo Arata?) che avrebbero messo fuori gioco qualsiasi forza politica. Specie una forza politica che non se ne fosse mai assunta un grammo di responsabilità, di quei fatti giudiziari, che non avesse mai spiegato anzitutto ai suoi elettori e simpatizzanti i giri folli di quei soldi (quasi sempre, vale la pena ripeterlo, pubblici) che gli inquirenti inseguono oltre confine. Mai un’ammissione, una spiegazione logica, un chiarimento. Sempre il complotto giudiziario. In questo senso, la più cospicua eredità della Lega dai suoi anni a braccetto con Silvio Berlusconi.

Eppure, a metterli in fila, i guai della Lega (la vecchia sotto differenti segretari Bossi e Maroni, e la nuova) fanno impressione. Il macigno è ovviamente l’inchiesta sui 49 milioni di rimborsi elettorali: due anni fa esatti il partito stabilì con la procura di Genova una grottesca maxirateizzazione per quei fondi sottratti. Cioè la possibilità di restituirli in ottant’anni, lasciandoli in carico alla “bad company” della vecchia Lega Nord. La gestione dei bilanci era opaca fin dal 2004 e comunque fra 2008 e 2010 la Lega incassò i rimborsi di cui, per usare un eufemismo, fece un uso “frizzante”, fra diamanti africani e lauree albanesi di Bossi Jr., tanto da costringere i pm a spacchettare l’inchiesta in tre filoni fra il capoluogo ligure e Milano. Bossi Senior e l’ex tesoriere Francesco Belsito sono stati condannati in appello e prescritti in Cassazione. L’unica consolazione di quell’accordo è che il partito – pur a condizioni di assoluto vantaggio, impossibili per chiunque altro in questo Paese dove una multa diventa un calvario – fu costretto ad ammettere le truffe che per mesi aveva negato, cercando di minimizzare e allontanandole dall’attuale segreteria.

Gli arresti domiciliari delle scorse ore per i tre commercialisti della Lega (Michele Arturo Maria Scillieri, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni), nell’ambito di un’inchiesta decollata già nei mesi scorsi, oltre a due prestanome coinvolti (uno già arrestato a luglio mentre tentava la fuga in Brasile) tira il filo con quella e numerosissime altre vicende. Nello specifico si tratta dell’acquisto e della rivendita gonfiata a un ente pubblico di un capannone abbandonato di Cormano (Milano) alla Lombardia Film Commission – da 400 a 800mila euro, in vari modi rimasti in tasca ai tre – in qualche maniera riaprono quella ferità mai rimarginata.

Perché, di nuovo, colpiscono al cuore il partito: quei tre non sono dei parvenu o dei faccendieri improvvisati. Non sono i Savoini di turno. Quei tre sono la Lega come e quanto Matteo Salvini: nello studio di Scillieri, tre anni fa, era domiciliata “La Lega per Salvini premier”. Di Rubba è stato revisore dei conti dei gruppi alla Camera e al Senato, dello studio bergamasco con Manzoni risultano fra i soci pezzi grossi del partito come il tesoriere Giulio Centemero e il senatore Stefano Borghesi, e negli anni hanno guadagnato poltrone importanti (oltre che ricche parcelle firmate Lega). Sempre Di Rubba alla Pontida-fin, l’immobiliare finanziaria leghista, e all’Agea, ente pubblico non economico vigilato dal ministero delle politiche agricole. Manzoni nel collegio di Italgas Reti dopo essere stato nominato amministratore di Fin group, amministrata dal partito. I tre commercialisti sono dunque parte del cervello finanziario della Lega e dovranno ora rispondere delle ipotesi di reato di peculato, turbata libertà nel procedimento di scelta e sottrazione del pagamento delle imposte. Replica del segretario: “Ne conosco due, mi fido di loro”.

Dell’inchiesta sull’ex deputato Arata, socio occulto del re dell’eolico Vito Nicastri (condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa), quest’ultimo considerato tra i finanziatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro, abbiamo già detto. Quell’operazione coinvolse anche un’altra figura di spicco del mondo leghista: Armando Siri, sotto inchiesta a Milano e a San Marino per questioni diverse e che abbiamo visto ricomparire negli ultimi tempi. L’elenco è lungo: c’è l’ex viceministro Edoardo Rixi, condannato lo scorso anno a 3 anni e 5 mesi per le spese pazze in consiglio regionale ligure fra 2010 e 2012, il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo all’epoca del lavoro in Regione Lombardia o i capigruppo leghisti alla Camera Riccardo Molinari e Paolo Tiramani (Vigilanza Rai), condannati per le stesse ragioni quando erano consiglieri regionali del Piemonte. Senza dimenticare il pasticcio dei camici di Attilio Fontana, appena pochi mesi fa, in piena emergenza coronavirus: una compravendita dall’azienda del cognato Andrea Dini. Negli ultimi giorni è emerso dall’inchiesta della procura di Milano che l’imprenditore aveva provato ad assicurarsi altri due appalti per la fornitura di materiale sanitario, del valore totale di 2,7 milioni, oltre al quello da 513mila euro finito al centro della “donazione”.

La realtà giudiziaria è che la Lega, comunque si chiami oggi e per assurdo ben oltre chi la guidi al momento, appare come un pozzo senza fondo. Il sistema non è solo gravato dallo scandalo dei 49 milioni di euro, che davvero non avrebbe garantito la sopravvivenza al alcun movimento se non in qualche democratura sudamericana, ma da una costellazione di fatti molto gravi che hanno coinvolto – ovviamente in molti casi in attesa delle sentenze definitive – esponenti fondamentali.

Insomma, in nessun modo la Lega può distinguersi da vicende simili del passato e anche del presente che toccano altri partiti, né rivendicare in campagna elettorale alcuna superiorità morale, perché non è mai stato nulla di differente. Men che meno lo è diventato sotto la guida di Salvini, che su questa e altre inchieste non ha offerto alcuna spiegazione ai suoi, prima che al paese.

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[Fonte Wired.it]