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Tron Ares, per vedere questo film ci vuole un grande e vero amore per la tecnologia e per la nostalgia

da | Ott 9, 2025 | Tecnologia


Prima di addentrarci in Tron: Ares ricordiamo che il manuale dei sequel prevede che il secondo film ripeta tutti i punti salienti del primo, investendo in quantità. Oppure che, se si era raccontato di un viaggio verso mondi fantastici, questi mondi fantastici entrino nel nostro. Tron: Legacy, di fatto il sequel del film del 1982 anche se arrivato quasi trent’anni dopo, aveva replicato in pieno la struttura del primo e ora questo terzo che funziona molto come un reboot, prende il mondo dei computer dentro il quale erano finiti i personaggi del primo e del secondo film e lo porta nel nostro. Il principio non è diverso da quello del sequel di Jurassic Park, Il mondo perduto.

Per Tron: Ares ovviamente l’impostazione è quella di Tron: Legacy, cioè non un film dalla scrittura raffinata o in cui c’è stato un grande impegno nell’intreccio, ma un film di impatto visivo che crei un piacere sinestetico tra il design estremo di un mondo digitale pensato tra superfici lisce e linee luminose su sfondo nero, unito a un tappeto musicale messo in primo piano (questa volta i Nine Inch Nails da che nel precedente erano i Daft Punk e nel primo la pioniera Wendy Carlos) e una tecnologia immersiva di proiezione. Tron: Legacy aveva il 3D stereoscopico, Tron: Ares invece è stato girato tutto con macchine da presa IMAX. Il concept del film quindi è il medesimo, con in più la contaminazione con del nostro mondo, ovvero la città di notte (giusto per tenere ferma la palette di luci rosse su sfondo nero).

La storia è un pretesto: racconta del tentativo di alcune compagnie tech gigantesche di portare nel nostro mondo le versioni umane dei software del mondo di Tron, che tuttavia sono instabili, durano meno di trenta minuti e poi rinascono nel mondo digitale. Questo conto alla rovescia è sostanzialmente un dispositivo di tensione utilizzato per tutta la parte d’azione. La compagnia cattiva vuole dominare il mercato, la compagnia buona vuole usare la tecnologia per migliorare il pianeta. La chiave per stabilizzare le creature digitali nel nostro mondo l’aveva scoperta in realtà Jeff Bridges, patriarca della saga che qui compare in un cameo, migliore di quello dell’altra volta. Tocca solo trovarla e menarsi a dovere per litigarsela.

È facile che Tron: Ares non piaccia, che annoi o che deluda, perché la scrittura è troppo scriteriata e scema per soddisfare davvero. Tuttavia in esso si trova ancora l’allegoria più sensata dell’interazione uomo-macchina dei nostri anni. A partire dalle guerre tra grandi tech company, descritta molto bene nei suoi incastri di comunicati stampa, presentazioni ai clienti, acquisizioni e rapporto malato con la propria immagine pubblica. Ma anche solo l’origine del protagonista è significativa: il film mostra il software interpretato da Jared Leto (finalmente a suo agio con un personaggio che ha l’assenza negli occhi) che, appena creato, viene addestrato. È un addestramento violento, che gli fa imparare l’arte del combattimento contro altri software ma è anche chiaramente l’addestramento di un’intelligenza artificiale, che poi infatti interagisce con l’utente esattamente come le AI generative, tramite prompt testuali.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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