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venerdì, Feb 10

Tutta la bellezza e il dolore è solo per metà il documentario dell’anno



Da Wired.it :

Nella caotica proposizione di Laura Poitras (la regista), non si procede tanto logicamente o cronologicamente (per quanto un ordine temporale esista) quando intuitivamente, mostrando più che i fatti della vita di Nan Goldin, di cui sapremo ben poco alla fine, lo spirito che ha animato la sua vita e come questa sia indistinguibile dalla sua arte. È lo spirito controculturale, di protesta e resistenza forgiato da una vita ai margini, spingendo per più diritti, più riconoscimenti, più centralità e contemporaneamente documentando cos’è questa vita ai margini. Lungo Tutta la bellezza e il dolore il lungo affiancare di foto di Nan Goldin crea un universo della New York anni ‘70 come l’ha vissuta lei che è un mondo a sé. Il mondo di Nan Goldin, fatto di transessuali, estetica gay, locali underground, lividi, botte, calze strappate, piastrelle spaccate e pessimi bagni.

Per questo poi il documentario nella sua parte militante, cioè nella cronaca della lotta di Nan Goldin contro i musei perché smettano di accettare donazioni dalla famiglia Sackler, suona meno incisivo e potente. Quella è una parte da Michael Moore, densa di giusta indignazione ma anche tarata su standard da cinema americano d’azione, che mette in scena la riscossa di Davide contro Golia (reale) attraverso strutture che sono quelle del cinema commerciale. Nan Goldin dovrà prima perdere per poi vincere, dovrà fare qualche azione clamorosa (e sia chiaro: clamorose lo sono state davvero) e poi ci sarà anche l’immancabile duello finale, il confronto con i Sackler via Zoom. La soddisfazione è scarsa, perché come parabola commerciale è povera e raccogliticcia, ma chiaramente la vittoria reale è clamorosa.

Non è possibile negare che ci sia in questo lavoro di Laura Poitras un coinvolgimento anche maggiore di quello visto nei documentari ben più clamorosi su Edward Snowden (Citizenfour) e Julian Assange (Risk), che porta il documentario a seguire più i desideri e la voglia di manifestare rabbia, riscatto ed esaltazione che ha creare un film compatto. Tutta la grande ricostruzione della vita di Nan Goldin è molto più interessante, profonda e alimentata dalle immagini, rispetto al resto del film che si adagia sulla sua estetica kombat e non pensa in nessuna maniera a come tutto quello possa essere mostrato. È come se Laura Poitras volesse fare Nina Goldin, cioè volesse documentare la lotta di lei nella maniera in cui lei ha documentato la lotta per i diritti delle persone omosessuali e trans negli anni ‘70 e ‘80. Ma nel farlo trascura proprio quello che rende grandi le fotografie di Nan Goldin, la creazione di un mondo visivo che documenta la realtà ma che per farlo la trasla in un mondo immaginario, la modifica, la rende un’opera d’arte.



[Fonte Wired.it]