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martedì, Gen 05

Tutti i problemi del piano vaccinale italiano



Da Wired.it :

Nel periodo delle feste siamo partiti decisamente a rilento, anche sulla scia di ritardi già accumulati nei mesi scorsi e di un certo lassismo generale. Al piano di vaccinazione al momento non mancano le dosi, ma scarseggia un po’ tutto il resto

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(foto: Hakan Nural/Unsplash)

Qui su Wired, così come su altri giornali, lo si scriveva già un paio di mesi fa: l’Italia non avrebbe potuto permettersi di farsi trovare impreparata al momento dell’arrivo delle dosi di vaccino anti Covid-19, e avrebbe dovuto predisporre per tempo un’adeguata strategia di vaccinazione. Insomma, un piano preciso sul da farsi. Invece, puntualmente, nel momento dell’effettivo avvio della campagna di somministrazione siamo partiti decisamente zoppi. Basta un numero per dare contezza di quanto stia accadendo: a fronte di 470mila dosi di vaccino consegnate all’Italia tra il 30 dicembre e il primo gennaio, a giornata inoltrata di lunedì 4 (aggiornamento delle 18:00) ne risultavano somministrate appena 122mila. Le altre quasi 350mila, invece, stanno ancora attendendo stipate nei congelatori a -70°C, nella speranza che prima o poi qualcuno le inietti.

A questo pronti-via al rallentatore della campagna vaccinale si possono concedere, per essere generosi e fare gli avvocati del diavolo, un paio di attenuanti generiche. Anzitutto, non è dalla prima settimana che si giudica una campagna vaccinale: si tratta di un percorso che durerà parecchi mesi (o addirittura anni), e fare bilanci a meno di una decina di giorni dalle primissime vaccinazioni simboliche di domenica 27 dicembre è forse prematuro.

L’altra attenuante è che, a voler essere pignoli, l’arrivo delle prime dosi di vaccino è stato anticipato proprio sotto data rispetto a quanto era stato largamente annunciato. E, con la complicità del periodo delle feste, la partenza al volo con una ri-calendarizzazione di tutto il piano non è stata possibile. Anche perché queste prime intense giornate sarebbero dovute coincidere rispettivamente con l’ultimo giorno dell’anno, Capodanno, un sabato e una domenica. In effetti in queste stesse giornate anche il ritmo con cui sono stati eseguiti i tamponi è nettamente calato, senza che per questo si siano sollevate particolari proteste. E diverse regioni avevano già annunciato che la vera campagna vaccinale, quella a ritmo sostenuto, sarebbe partita lunedì 4 gennaio o addirittura giovedì 7.

Alcuni problemi oggettivi

Concesse o meno le attenuanti, restano però una serie di difficoltà fattuali già emerse. Per esempio, c’è un problema di fornitura delle siringhe, e in particolare di quelle da un millilitro di capacità che servono per l’effettiva iniezione (mentre ci sono quelle da 3 e da 5 millilitri, utili per la diluizione della soluzione). Ne ha segnalato la carenza sia la Liguria, che ha dato fondo alle proprie scorte ospedaliere, sia il Molise.

Se da un lato manca ancora una fornitura sufficiente dello strumento finale necessario per fare le vaccinazioni, dall’altra è ancora in divenire (per dichiarazione dello stesso commissario Domenico Arcuri) la lista delle sedi dove effettivamente le vaccinazioni di massa avverranno. E ancora più indietro pare essere il reclutamento del personale deputato alle somministrazioni: il bando che ha aperto la selezione dei 3mila medici e dei 12mila infermieri necessari si è chiuso solo lo scorso 28 dicembre, dunque l’iter è ancora in corso. Dalle cronache risulta che molti dei candidati sono aspiranti medici specializzandi.

Per non parlare dei celeberrimi padiglioni a forma di fiore dove idealmente dovrebbe avvenire il grosso delle vaccinazioni, che al momento sono solo dei render in 3d, o di una campagna informativa che incentivi le persone a vaccinarsi, di cui non risulta esserci nemmeno la proposta.

Le ferie e la straordinarietà

Quello che manca più di tutto, e che forse è in fondo l’unico vero limite generale dell’organizzazione, è il senso della straordinarietà dell’impresa a cui il nostro paese è chiamato in questo 2021. Accelerare la campagna vaccinale – e, ribadiamo, trovare modi per aumentare l’adesione delle persone alla campagna stessa – significa ridurre il numero di contagi, dunque attenuare il numero di casi gravi, di ricoveri in terapia intensiva e di decessi. Quindi salvare vite, e allo stesso tempo spostare un po’ più indietro nel tempo il momento in cui ci si potrà permettere di allentare le misure di contenimento e garantire un ritorno a una parvenza di normalità. Insomma, il vaccino è in questo momento il migliore aiuto che abbiamo a disposizione per affrontare la pandemia, e ogni dose anticipata di un solo giorno è un piccolo tassello che avvicina l’uscita dal tunnel.

Di fronte alla delicatezza della situazione, e al senso di urgenza che tanto il sistema sanitario quanto quello economico vivono giorno per giorno, l’impressione è però di essere impantanati nella più ordinaria delle gestioni all’italiana. Tensioni tra governo centrale e regioni, in seno al governo e in seno alle singole regioni, diatribe tra commissari straordinari delle regioni e aziende sanitarie del territorio, e pure tra i commissari stessi e la struttura commissariale centrale. E ancora, concorsi, bandi, iter burocratici e tempi tecnici da attendere. Il tutto per arrivare a coprire finora un numero irrisorio di persone, che peraltro sono tutte operatori sanitari e sulla carta sarebbero dovuti essere i più semplici e rapidi da vaccinare.

Insomma, dopo gli annunci della politica, dopo i 10 mesi di emergenza che abbiamo vissuto nel 2020, dopo i 75mila morti registrati e dopo il viaggio trionfale del primo carico di vaccini su gomma dal Belgio a Roma, ci si sarebbe aspettati una preparazione ben diversa all’effettiva consegna dei vaccini. Il che non significa necessariamente avere già la fila di persone pronte fuori dalle strutture e il personale vestito di tutto punto all’arrivo del carico (che comunque non sarebbe stato male), ma nemmeno l’estremo opposto, con discorsi su ferie arretrate, feste comandate, personale addirittura inferiore al solito perché a riposo e situazioni regionali in cui l’avvio della campagna slitta di oltre una settimana rispetto all’arrivo delle dosi.

Le proiezioni dei tempi: qualcosa non va

Anche se ogni regione procederà con i propri ritmi e la propria strategia vaccinale (sperando che si voglia fare a gara a chi arriva prima, e non solo a non essere gli ultimi), le prime indicazioni non fanno pensare a un piano particolarmente svelto. L’assessore al welfare della Lombardia, Giulio Gallera, ha dichiarato che dopo la partenza con il freno a mano tirato si arriverà a somministrare prima 6mila dosi al giorno e poi fino a 15mila. Contando che la Lombardia ha 10 milioni di abitanti, e che servono due dosi a testa, per raggiungere il target di due terzi di vaccinati servirebbero circa 900 giorni, ossia quasi 3 anni. Sempre ammesso che non si riveli necessario fare uno o più richiami a distanza: rischieremmo semplicemente di non arrivare mai a qualcosa di simile a un’immunità di gregge.

Si può fare qualche conto spannometrico. Per raggiungere come dichiarato una copertura dei due terzi dell’Italia entro fine estate, ossia 40 milioni di persone e 80 milioni di dosi, bisogna somministrarne 300mila al giorno. Ossia 50mila solo in Lombardia, contando i giorni dal primo gennaio. Ciò significa che non solo rispetto a quanto accaduto nella settimana di riscaldamento, ma anche rispetto a quanto dichiarato come obiettivo, serve decisamente un cambio di passo. Un carico da mezzo milione dovrebbe essere gestito ed esaurito in due giorni al massimo, una volta consegnato. E tutto ciò ci dice anche che più della disponibilità effettiva delle dosi e della gestione logistica – su cui l’attenzione non può che restare massima – il vero collo di bottiglia rischia di essere proprio l’ultimo miglio, quello dell’iniezione del millilitro di soluzione vaccinale nel braccio delle persone.

Muoversi nell’incertezza

È indubbio che la dinamica vaccinale sia quantomai in divenire. In prospettiva, non sappiamo quanti vaccini riceveranno l’approvazione nei prossimi mesi, non sappiamo se le dosi che abbiamo prenotato arriveranno davvero, non sappiamo se ci saranno inghippi o ritardi di qualche genere, o viceversa se si procederà a ritmo anche più spedito del previsto (come si è scoperto per il vaccino Pfizer-Biontech, dalle cui fiale si ricava un 20% più di dosi rispetto a quanto ci si aspettava).

In una situazione di questo genere, al netto di tutte le difficoltà organizzative e comunicative tipiche di un contesto fluido, si dovrebbe essere pronti a gestire anche lo scenario più sfidante. E non, come è accaduto già con le mascherine, con il tracciamento dei contatti e con i tamponi rino-faringei, a trovarsi sempre ad arrancare e a rincorrere. L’atteggiamento pare essere quello del portare a casa una sufficienza risicata, dello sfangarla, per usare parole già sentite. Anziché, come si ci aspetterebbe e come altri paesi tra cui Israele stanno dando dimostrazione di saper fare, produrre il già citato sforzo straordinario, con risorse pronte e schierate, magari persino in abbondanza. Doppi o tripli turni, spazi predisposti, materiali sanitari consegnati in anticipo e un certo margine di vantaggio sulla tabella di marcia: utopia?

È per questo che, anche se l’arrivo dei vaccini è stato anticipato proprio all’ultimo e a sorpresa, fa strano che non si fosse già tutti pronti. Sono mesi che sappiamo che il vaccino è in arrivo: ci si era davvero ridotti a far tutto all’ultimo momento, proprio come il più mediocre degli studenti che si prepara a un esame?

Guardare avanti, alla fase difficile

Mentre in questi giorni sono al centro della discussione i dettagli fini delle singole percentuali di utilizzo delle dosi regione per regione, oltre che stato per stato, diventa sempre più urgente organizzare le prossime fasi della vaccinazione. Quelle, vale a dire, che dovrebbero riguardare gli ultraottantenni, poi gli ultrasettantenni, le forze dell’ordine, le persone con importanti patologie pregresse e poi via via a cascata tutto il resto della popolazione.

Sarà in questa fase, in cui auspicabilmente le dosi arriveranno a gran ritmo, in cui essere celeri nel somministrare significherà fare ancora di più la differenza, oltre ad alleggerire problemi come il mantenimento al freddo delle scorte. In altre parole, siamo partiti in ritardo ma non è ancora troppo tardi. Oggi stesso è in arrivo un altro mezzo milione di dosi: occorre subito recuperare il tempo perduto e rimettersi in pari, arrivando magari a somministrarle tutte già prima che il carico successivo sia consegnato.

Senza scordare che, tra i tanti temi che si profilano all’orizzonte, merita grande attenzione quello della partecipazione alla campagna vaccinale. Al di là della questione della fiducia nell’operato della scienza, su cui intervenire è doveroso ma complesso, anche la robustezza del sistema organizzativo stesso può contribuire a portare le persone ad aderire alle vaccinazioni. E oltre alla logistica, al personale e alla strumentazione, pure questa componente più immateriale e umana del piano vaccinale merita di essere affrontata con consapevolezza e metodo. E per tempo.

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[Fonte Wired.it]