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martedì, Nov 10

Tutti i volti del presidente: come la Casa Bianca è apparsa al cinema e in tv



Da Wired.it :

Metafora vivente del concetto di leadership, il commander in chief statunitense è stato raccontato da Hollywood in varie chiavi, dalla più ingenua (Independence Day) alla satira demenziale (Scary Movie), passando obbligatoriamente per l’oscuro Frank Underwood

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La più grande democrazia del mondo. Così vengono spesso definiti gli Stati Uniti, almeno fino a poco tempo fa, visto che ora per molti quella definizione è davvero impropria. Eppure, non si può negare che il presidente degli Stati Uniti sia una figura ineguagliata dell’era moderna, almeno per ciò che riguarda la sua dimensione davvero molto cinematografica.

Che sia perché la politica in America è spettacolo o perché il presidente è un attore chiamato ad interpretare un ruolo per quattro anni, poco importa, ciò che conta è che nessun’altra carica è stata così tanto descritta dal cinema, nella sua dimensione simbolica di tutti i pregi e difetti di quella Superpotenza che ha avuto agli occhi del mondo.

Essere presidenti sul grande e piccolo schermo, ha voluto dire spesso fare i conti con figure torbide, complicate, molto divisive, com’è del resto divisiva la politica di un paese bipartitico, con due anime così diverse eppure così simili. Molte volte il presidente è diventato nella vita reale più simile ad una creatura della finzione, di quella finzione in cui grandi divi si sono seduti nello Studio Ovale fieri o farseschi. Che sia un caso che anche un ex attore come Ronald Reagan sia diventato uno dei presidenti più famosi di sempre? Assolutamente no.

Il cinema ha avuto presidenti crudeli o saggi, eroici o vili, grotteschi o realistici. Hollywood ci ha parlato dei Kennedy, dei Bush, di Trump, Nixon, Clinton, sovente ce li ha mostrati sotto mentite spoglie, ha sferzato la contemporaneità, sbeffeggiato il potere e anche sé stesso, parodiando alcune interpretazioni machiste o superoistiche di grande successo.


Sicuramente tra queste ultime, è d’obbligo citare il Bill Pullman di Indipendence Day, così come l’Aaron Eckhart della saga di Attacco al potere, anche se forse la palma del presidente più “cool” di sempre, va data all’eroico Harrison Ford di Air Force One, sorta di Capitan America mascherato.

Tutti loro hanno avuto nel Jack Nicholson di Mars Attack! e soprattutto nel mitico Leslie Nielsen di Scary Movie, una parodia tanto efficace quanto salutare, nel ricordarci che oltre ad eroi di guerra come Eisenhower, Washington, Grant o Theodore Roosevelt, la Casa Bianca ha avuto un discreta quantità di gigioneschi fessi, eletti da un popolo imprevedibile e sorprendente. Non è un caso che poi parodia e affresco storico siano andati sovente a braccetto, basti pensare al bellissimo Lincoln di Spielberg del 2012, accompagnato nello stesso anno, dal suo omonimo cacciatore di vampiri. Solo in America può succedere qualcosa di simile.


Il presidente è stato a volte descritto dal cinema persino durante la sua stessa presidenza, come capitato a George Bush nel W. di Oliver Stone, a Kennedy in PT-109 o da ultimi a Trump nella miniserie The Comey Rule e ad Obama in Barry e Southside With You.

La narrazione cinematografica è stata tante volte l’arma perfetta, per ricordare all’America la natura mostruosa del potere, quanto quella sedia in quella stanza, sia stata utilizzata da uomini riprovevoli, eppure comunque capaci di affascinare nella loro dimensione oscura.
Richard Nixon è sicuramente l’esempio più ricorrente, data la dimensione criminale, eversiva della sua presidenza, ma anche l’incredibile abilità, sagacia ed astuzia di cui si dimostrò capace fino all’ultimo.

Per ora ha avuto in Anthony Hopkins, Philip Baker Hall e Frank Langella coloro i quali ne hanno ripercorso la presidenza per parlarci di altro, del potere che logora, dell’anima oscura di un paese in cui sogno ed incubo percorrono la stessa strada.

Il presidente, è diventato quindi sovente un machiavellico ragno, un essere amorale, spietato, disposto a tutto pur di conservare o aumentare il proprio potere. In questo, nessuno potrà mai superare il Frank Underwood di Kevin Spacey, il protagonista indiscusso di quella House of Cards, che ci ha donato il ritratto di una politica amorale, sporca, senza speranza.

Tuttavia, il cinema americano ha anche avuto la grande capacità di donarci esempi virtuosi, presidenti in grado di aiutare la società, di risollevare nei momenti più bui la collettività.

Amistad, sempre di Steven Spielberg, ancora oggi ha nel John Quincy Adams di Anthony Hopkins, uno degli esempi migliori, da certi punti di vista anche più efficace di ciò che il regista americano ci donò con il già citato Lincoln. Questo grazie alla contrapposizione con l’inetto, debole e pavido Van Buren interpretato da Nigel HawThorne, incapace di dominare una crisi che di lì a poco avrebbe dilaniato l’Unione. Sempre una crisi, ma stavolta quella cubana dei missili che per poco non fece scoppiare un olocausto nucleare, fu rievocata in Thirteen Days di Roger Danaldson, dove Bruce Greenwood fu nientemeno che John Fitzgerald Kennedy: il sogno della Camelot americana, di una leadership virtuosa, empatica e liberal, soffocata dalla morte di lì a poco.


Kennedy sarebbe stato tra i tanti presidenti ritratti in The Butler, piccolo affresco storico che però ci permise di apprezzare le differenti personalità e anime politiche di ben settant’anni di vita alla Casa Bianca, per quanto donando in ultima analisi una visione abbastanza semplificata.

Ben meno potabile si è rivelato invece il Lindon Johnson di Woody Harrelson in LBJ di Rob Reiner, tra i personaggi più misteriosi, contraddittori e di difficile lettura della storia americana, così come quel vicepresidente Dick Cheney, che grazie a Vice di Adam McKay e ad uno straordinario Christian Bale, abbiamo scoperto essere stato in realtà il vero presidente per ben otto anni, all’ombra di George W. Bush. Un Bush che Sam Rockweel interpretò in modo grottesco ed eccessivo, ma molto efficace nel farci arrivare l’immagine dell’ennesimo miracolato, simbolo dei tanti avarege american, che gli Usa hanno catapultato nello Studio Ovale.

Uno Studio Ovale che continuerà ad essere al centro della narrazione cinematografica, anche se nella realtà il reale impatto in termini di potere del suo inquilino è sempre stato un po’ sopravvalutato.
Ma inutile negarlo, presidente degli Stati Uniti suonerà sempre in modo diverso da primo ministro di sua maestà, presidente della Repubblica o cancelliere.

Paradossalmente, i migliori presidenti del cinema, forse per il loro distaccarsi dalla dimensione visiva e sposare un regno della mente, sono ancora oggi il Kennedy ed il Nixon di quei capolavori che furono Tutti gli uomini del presidente di Pakula e JFK di Oliver Stone.
Questi due film rimangono ancora oggi imbattuti, nello descriverci la dimensione iconica, simbolica, culturale a metà tra realismo magico e trascendenza, di quello che è un una sorta di Papa laico della politica e del mondo.

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[Fonte Wired.it]