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sabato, Dic 21

Uber, Lyft e Wework: cosa non ha funzionato nel 2019 degli unicorni in Borsa


Le attese quotazioni delle startup più promettenti a Wall Street non hanno dato i risultati sperati, gettando un’ombra sulla maratona del 2020

Wall street, New York (Getty Images)
Wall street, New York (Getty Images)

Gli unicorni entrano a Wall Street” potrebbe essere uno degli slogan per inquadrare il 2019 delle startup. Gli unicorni sono quelle startup che, grazie a una forte crescita, sono riuscite a ottenere una valutazione superiore al miliardo di dollari. Nel mondo sono solo 402 le imprese che possono godere di questo riconoscimento secondo CB Insights, con un valore complessivo di 1.100 miliardi di dollari.

Per molte di queste aziende il titolo di unicorno spiana la strada verso la quotazione in borsa. Questo è uno dei momenti più importanti, non solo perché rappresenta il banco di prova pubblico in cui viene confermata la fiducia degli investitori e viene valutata pubblicamente l’attività dei fondatori e del team, ma soprattutto perché si ottiene accesso a strumenti finanziari ulteriori per espandere la propria attività.

Lyft, Slack, Uber, Zoom, Pinterest: com’è andata?

La riflessione si limiterà agli unicorni più conosciuti a livello mondiale. La situazione non è omogenea: Lyft, Slack, Uber, Zoom, Pinterest e una non pervenuta WeWork (l’Ipo di quest’ultima è stata abortita) hanno vissuto situazioni molto diverse. Iniziamo da chi ha fatto peggio: Lyft ha subito una diminuzione del prezzo delle azioni inizialmente quotate pari al 20%.

Uber l’ha seguita a ruota, con un crollo al secondo giorno di quotazione. D’altra parte le speranze per queste due non erano altissime, visto le grosse perdite accumulate in questi anni (1,2 milioni di dollari solo nell’ultimo trimestre dell’anno per Uber e più di 450 milioni di dollari per la concorrente). 

Pinterest ha esordito con un aumento del 30% del valore delle azioni nelle prime settimane, ma ha dovuto incassare l’annuncio di una  perdita pari a 41 milioni di dollari del primo trimestre e a poco è servito dimostrare che aveva registrato un aumento del fatturato del 54% rispetto all’anno passato. Un inizio alla grande anche per Slack, condito dall’entusiasmo di tantissimi dipendenti che tuttavia negli ultimi mesi non si è consolidato per le critiche degli analisti sulla crescente competizione con Microsoft, che sta facendo sempre più leva sulla sua funzione Team, forte della maggiore penetrazione di mercato rispetto alla giovane piattaforma di chat che alimenta i dubbi sul futuro profittevole. L’unico unicorno che sembra essere riuscito a incassare buoni risultati è Zoom, piattaforma di conference call e unica tra queste ad avere ottenuto un aumento coerente del prezzo delle azioni dall’Ipo di giugno.

Cosa possiamo imparare?

Quelle che dovevano essere quotazioni e profitti facili, si sono trasformate in offerte cancellate, svalutazioni e un cambio di rotta con conseguenze in tutto lo scenario tecnologico del 2019. Il mercato delle Ipo sta ancora cercando di capire ciò che è andato storto, nell’attesa di ricevere conferme su quali saranno le quotazioni previste per il 2020 (tra le quali Airbnb, che con una valutazione di 35 miliardi di dollari e quarto maggiore unicorno al mondo è quella a cui tutti stanno guardando), mentre secondo Goldman Sachs non ci sono dubbi: il 2019 è stato l’anno più critico dal crollo delle dot.com, alla fine degli anni ’90.

“Il mercato è stato davvero critico verso quelle aziende che bruciano capitali senza dimostrare un effettivo valore o un modello di business profittevole”, conferma David Solomon, amministratore delegato di Goldman Sachs,  in una recente intervista a Bloomberg, spiegando come l’obiettivo di una startup non può essere esclusivamente quello della crescita.

Secondo Solomon, l’utilizzo sfrenato della pubblicità per acquisire nuovi utenti e l’idealizzazione degli obiettivi aziendali rende il mondo tecnologico più accattivante, ma non dovrebbe distogliere gli stakeholder dalla costruzione di un percorso che porti al profitto, unico elemento che davvero conta per gli investitori internazionali. I mercati vogliono avere concretezza sulla capacità delle startup di produrre profitti e forse è proprio questa differenza culturale, quella tra profitto e crescita, velocità e concretezza ad essere la causa principale dell’insuccesso delle Ipo di questo 2019.

 

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