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martedì, Feb 21

Ucraina, cosa sappiamo sui giornalisti fermati



Da Wired.it :

Qualcuno vicino all’intelligence ucraina ha riferito a terze persone che i giornalisti non si devono preoccupare, ma solo attendere di essere interrogati. L’appuntamento però non arriva mai, le autorità non si fanno sentire e così i giornalisti si trovano di fronte a un bivio terribile: restare in Ucraina, rischiando l’arresto o ritorsioni, oppure uscire dai confini e ritrovarsi con un blocco. A Garzillo ne è stato comminato uno di cinque anni.

I fixer “doppiogiochisti”

Al telefono Bosco racconta a Wired: “In maniera ufficiosa sappiamo che la nostra colpa è aver lavorato, in passato, nei territori separatisti filorussi. La mentalità diffusa in Ucraina è che se racconti le repubbliche secessioniste allora fai implicitamente o esplicitamente propaganda per loro, le sostieni”. 

Ma in Donbass si sono recati centinaia di giornalisti, anche italiani, e non tutti hanno avuto guai con Kyiv. Le logiche di questa che è a tutti gli effetti una censura preventiva sono opache. Bosco è venuto ha sapere che un ruolo cruciale nella blacklist lo hanno avuto i fixer, quelle figure professionali che accompagnano i reporter al fronte o tra la gente, lavorando come traduttori, consiglieri e factotum.

“Ci sono giornalisti diventati fixer e persone improvvisatesi fixer – spiega Alfredo Bosco -. Alcune sono legate, comprensibilmente, alla causa ucraina. Hanno i loro canali WhatsApp e Telegram, del tutto legittimi, in cui chiedono pareri sui giornalisti che li pagano. Ma spesso fraintendono il proprio ruolo. Un esempio: duranti i bombardamenti finisci in uno scantinato dove la babushka nostalgica di turno ti fa l’elogio dell’Unione sovietica. Il fixer ucraino dice ‘è una pazza’, ma tu quelle frasi le devi riportare comunque. È il tuo lavoro”. 

Alcuni fixer segnalano ai servizi giornalisti italiani sospetti, secondo loro, di simpatie filorusse. Sarebbe successo, a quanto apprende Wired, anche a un importante inviato della tv pubblica, che è riuscito subito a scagionarsi dalle accuse e a rimettere in riga il suo aiutante. La Sbu tiene però il massimo riserbo sulle sue indagini e ci sono colleghi che non saranno consapevoli del ban finché non si ritroveranno ai controlli.

Bosco non ci sta: “Tra i separatisti abbiamo avuto [io e Sceresini, ndr] enormi difficoltà a lavorare. I nostri servizi del 2015 riguardavano il business delle miniere illegali gestite dai leader filorussi, la presenza dei volontari di estrema destra e le faide interne ai governi delle repubbliche. In Bielorussia, l’anno scorso, siamo andati di nascosto per non avere problemi, raccontando le proteste contro Lukashenko. In Russia abbiamo raccontato la comunità lgbt”. 

I propagandisti veri

A dimostrazione della bontà del suo lavoro, Bosco racconta come “sotto qualsiasi mia intervista sbucano persone che scrivono: ‘Leggete la controinformazione!’. Si riferiscono ahimè ai giornalisti italiani hanno sposato ideologicamente la propaganda russa. A mio avviso un giornalismo sbagliato che cerca i fatti che si conformano ai pregiudizi. Noi abbiamo raccontato il Donbass ma parallelamente abbiamo visitato il fronte anche sul lato ucraino, convinti che il conflitto andasse raccontato da entrambe le parti. Siamo giornalisti, non opinionisti, e vogliamo lavorare. Se scappiamo rimandiamo il problema. L’accredito è uno strumento di tutela”. 

Il cerino ora è in mano a Meloni, che dopo l’arrivo a sorpresa di Joe Biden a Kyiv è ancora più legata alla causa ucraina e della Nato. Si capirà presto quali margini di manovra avrà per far capire all’Ucraina che episodi come questo della censura dei giornalisti non solo non servono quella causa, ma rischiano di far cadere sempre più lettori dalla parte del sospetto, della nemesi russa e della propaganda filo-Putin, quella vera.



[Fonte Wired.it]