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giovedì, Apr 16

Ugly Betty e le altre regine del body positive thinking nelle serie tv



Da Wired.it :

Esattamente 10 anni fa terminava quella che forse è stata la prima produzione ad affrontare il tema dell’accettazione di sé. Nel tempo ne sono arrivate altre simili, ma non tutte abbastanza illuminate

Il 14 aprile 2010 terminava negli Stati Uniti la messa in onda di Ugly Betty. La serie giocava con gli stereotipi della bellezza e della fisicità ed è stata una delle prime che ha cercato di portare nella televisione mainstream i discorsi body positive, che probabilmente all’epoca ancora non si chiamavano così. Nel corso dei successivi 10 anni sono state molte le produzioni che hanno tentato di seguire la scia, affrontando appunto temi quali il body shaming o l’accettazione di sé, alcune volte però regredendo rispetto ai numerosi passi avanti compiuti nel frattempo.

1. Ugly Betty

Remake della telenovela colombiana Yo soy Betty, la fea e trasmessa negli Stati Uniti per quattro stagioni dal 2006 al 2010, la serie Ugly Betty, creata da Silvio Hortal (recentemente scomparso), parte da un presupposto che agli occhi di oggi potrebbe sembrare controverso: una ragazza di origini ispaniche e non canonicamente attraente viene assunta come assistente del direttore di una rivista di moda proprio perché il suo aspetto frenerebbe le tentazioni del capo stesso, noto donnaiolo. Apparecchio ai denti, capelli arruffati, guardaroba squillante e improbabile, Betty (interpretata dalla rivelazione America Ferrera) è l’antitesi di tutti gli spietati cliché associati al mondo del fashion, che nel corso dei vari episodi lei riesce a sfatare grazie al carattere docile e generoso. Anche se per inevitabili ragioni narrative Betty finirà per essere abbellita verso gli ultimi episodi, ha sicuramente messo in dubbio i canoni estetici asfissianti e irreali, incrociando al fattore fisico anche importanti considerazioni socio-economiche: è figlia di proletari immigrati del Queens, ma il sogno americano riserva un posto al sole anche a lei.

2. Drop Dead Diva

A raccogliere l’eredita di Ugly Betty e a cavalcarne l’onda lunga di successo è arrivata, nel 2009, Drop Dead Diva, altra comedy che lavora sui preconcetti estetici. Sulla via di un’audizione, l’aspirante modella Deb Dobkins (Brooke D’Orsay) viene coinvolta in un incidente ma, una volta in paradiso, riesce a ritornare sulla Terra, incarnandosi però nel corpo dell’avvocatessa Jane Bingum (Brooke Elliott), tutto il suo opposto: in carriera, altruista, disponibile e –almeno negli intenti della serie – di curve generose. Deb deve abituarsi alle sfide imposte dalla vita di Jane, soprattutto l’accettazione sociale, e le tocca anche cercare di recuperare l’amore, l’avvenente Grayson, con un corpo totalmente diverso. Nonostante la serie parta dalla dicotomia apparentemente irrimediabile magra-stupida e cattiva/formosa-intelligente e di buon cuore, riesce con leggerezza a smontare gli stereotipi proponendo un umorismo spiccio ma accattivante.

3. Dietland

Creata da Marti Noxon (sceneggiatrice poi dell’ottima Sharp Objects) a partire dal romanzo omonimo di Sarai Walker, la serie Dietland, da noi diffusa su Amazon Prime Video, porta il discorso del body shaming a un livello ulteriore, spesso abbandonando i buoni sentimenti che facilmente ammantano il tema. Questa dark comedy, infatti, racconta il percorso di Plum (Joy Nash), una giornalista dalla corporatura massiccia che fa da ghostwriter per una pessima rivista teen: dopo aver sognato per anni di dimagrire, dopo essersi sottoposta a diete degradanti e aver pure deciso di consultare un chirurgo, viene arruolata da un gruppo segreto femminista, mentre un’altra organizzazione ancora, le Jennifer, eliminano in modo brutale tutti gli uomini colpevoli di rendere miserevole la vita delle donne. Plum si ritrova in mezzo a un complotto più grande di lei, dove le rivendicazioni femministe diventano quasi una caricatura grottesca eppure impressionante, e in cui s’intravede che il percorso dall’autocommiserazione all’accettazione è spesso doloroso e complicato.

4. Insatiable

Non tutte le serie recenti sono abbastanza illuminate da parlare di body shaming in modo corretto e rispettoso: esempio lampante (in negativo, ovvio) è la produzione di Netflix Insatiable. Diffusa in streaming a partire dall’agosto 2018, segue le vicende di Patty Bladell, una teenager vittima di bullismo costante per via del suo peso; dopo essersi sottoposta a una dieta estrema durante le vacanze, torna a scuola in forma smagliante e pronta a sfruttare la nuova avvenenza per vendicarsi in modo brutale di chi l’ha fatta soffrire, diventando nel frattempo una reginetta di concorsi di bellezza. Nonostante la creatrice Lauren Gussis e una delle attrici principali del cast, Alyssa Milano (già in Streghe), abbiano più volte rispedito al mittente le accuse di fat shaming, indicando in Patty un esempio ispirato a fatti reali, sono stati in molti quelli che hanno letto un assunto negativo: dopotutto, la serie valorizza una protagonista magra, indicando nel grasso un ostacolo da rimuovere per potere ottenere i propri risultati. Netflix (fortunatamente?) l’ha cancellata dopo la seconda stagione.

5. Shrill

Esempio, invece, brillante di serie recente che affronta per bene i discorsi body positive con tutti i crismi è sicuramente Shrill, brillante produzione comica di Hulu (ancora non arrivata in Italia) tratta a sua volta dal libro Shrill: Notes from a Loud Woman di Lindy West. Ad animare e a dare letteralmente corpo e anima alla serie è la fantastica attrice comica del Saturday Night Live Aidy Bryant: interpreta Annie, giovane sovrappeso che cerca di affermarsi nella vita, soprattutto nella sua professione di giornalista, nonostante si debba giostrare fra relazioni tossiche, genitori malati e un capo ossessivo. Stanca dei soliti articoli di routine e di navigare in una comfort zone fin troppo asfissiante, un giorno decide di cominciare a fare esperienze che mai aveva pensato prima: persino partecipare a una festa in piscina per lei è una sfida e un’occasione per abbattere i pregiudizi. Godersi la vita, però, è molto più facile quando abbandona lo sguardo degli altri per concentrarsi sull’accettazione di sé. Dopo due stagioni, Shrill è già stata rinnovata per una terza stagione.

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[Fonte Wired.it]