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martedì, Set 17

Umanità usa e getta: la distopia della porta accanto di The Warehouse


Che futuro ci aspetta? Uno molto simile al nostro presente ma meno umano e più tecnologico e dove l’e-commerce domina le nostre vite. È la profezia del romanzo firmato da Rob Hart. L’autore di Multiversum l’ha letto per noi

La distopia ha mille volti.
Nelle recenti evoluzioni del mercato editoriale, in ambito Young Adult abbiamo osservato l’esaurirsi dell’onda lunga originata dallo tsunami Hunger Games, mentre spuntava sotto i riflettori una corrente di pubblicazioni dal target più adulto, forse trainate dalla crisi politica (su scala globale) e dal ritorno in pompa magna di testi memorabili, riadattati in forma di serie tv, come Il racconto dell’ancella.
È in questo filone, capace di riposizionare sui banchi di scuola (e dunque nelle classifiche dei libri più venduti) il 1984 di Orwell, che si inserisce alla perfezione The Warehouse. A scriverlo è Rob Hart, autore newyorkese classe ’82, che ho incontrato grazie a DeA Planeta durante il suo breve soggiorno promozionale a Milano.

Si resta subito colpiti dal semplice ma efficace concept grafico della copertina del romanzo: una città i cui palazzi sono in realtà scatoloni di un magazzino, con un drone che svolazza nel cielo, pronto a consegnare un pacco. I tedeschi si sono spinti oltre: l’edizione di Der Store ci offre un codice a barre le cui linee sembrano braccia stilizzate che terminano con mani aperte alla ricerca, evidente, di aiuto (“inquietante”, la definisce Rob, “bellissima e… davvero tedesca!”). Già, perché nel magazzino lavori. Ma vivi, anche. Trascorri le tue serate, la tua esistenza. È una sorta di e-commerce city, chiamata Cloud, che ti offre tutto quello che ti serve per non aver bisogno di andare altrove, ma in cambio ti chiede orari esagerati di lavoro, una flessibilità pressoché totale e la buona disposizione verso contratti e regole in cui, inutile dirlo, il vantaggio sta tutto da una parte (non la tua). Non ti va bene? Rendi male e hai un rating basso di valutazione? Adios. Avanti un altro.

Però potrebbe andare peggio, no? La crisi si è protratta e il resto del mondo non se la passa poi così bene, quindi… perché non accettare il fatto di avere comunque un tetto sopra la testa e un posto di lavoro? “Volevo scrivere questo libro perché credo che le società ci stiano trattando come prodotti usa e getta”, racconta Rob. “Contando proprio sul fatto che, anche se hai un lavoro che fa schifo, dovresti essere comunque grato di averlo, un lavoro.

Da sinistra Leonardo Patrignani e Rob Hart

È proprio questo il cuore di una distopia come The Warehouse, che richiamerà alla memoria di molti lettori un setting alla The Circle, ma procede in tutt’altra direzione. Seguiamo infatti non le vicende di una giovane donna osservata dal Grande Fratello elevato alla massima potenza, ma di due personaggi i cui percorsi sono destinati a diventare uno: Paxton, reduce da un tentativo imprenditoriale finito male proprio per colpa di Cloud (e dunque con vaghi propositi di vendetta nei confronti di una tech company che si sta divorando il mercato), e Zinnia, dipendente infiltrata a caccia di segreti aziendali da mettere nelle mani di sconosciuti committenti. A corredo delle due avventure parallele, i capitoli in prima persona del fondatore Gibson, che ha i mesi contati a causa di un tumore ma riversa ondate di ottimismo dalle pagine di un blog, una sorta di ultimo diario prima della sua dipartita.

L’avete ormai intuito: The Warehouse è la distopia della porta accanto. È il futuro che è già presente. Non per niente è dedicato a Maria Fernandes, “una dipendente di ben tre Dunkin Donuts nel New Jersey, deceduta nella sua macchina tra un turno e l’altro mentre cercava di riposare per qualche minuto.” La disparità tra la condizione estrema di vita di una giovane madre lavoratrice e quella fin troppo agiata del boss della compagnia per cui lavora è qualcosa che Rob Hart non riesce ad accettare. Forse anche per questo motivo, quando lo metto di fronte ad alcune domande a bruciapelo come “Trump o… chiunque altro?” la risposta (decisa, e la lascio volutamente in inglese perché suona mille volte meglio) è: “literally anyone else”. La via madre quindi non è il profitto, o il capitalismo estremo, ma l’uomo. La dignità di una vita che non dovrebbe mai trasformare te stesso in un prodotto. E che si fa grottesca, quando sei un prodotto che spedisce prodotti. Da qui l’ispirazione per la storia. Da qui le riflessioni che ci rimandano a Bradbury, Orwell, Huxley. Questione di libertà personale e limiti. Recinti che spesso accettiamo, perché siamo senza alternative.

The Warehouse diventerà un film diretto da Ron Howard e prodotto dalla società che il regista di Cocoon e A Beautiful Mind ha fondato con Brian Grazer: la Imagine Entertainment. E se il film fosse diverso dal romanzo? “Devono senz’altro cambiare qualcosa”, risponde Rob, che ci racconta di aver già parlato con uno screenwriter pieno di idee grandiose per l’adattamento sul grande schermo. Non dovrà fare un lavoro colossale, a mio modesto parere. La storia è già ben strutturata, presenta un setting ben definito e l’autore ha sviluppato l’avventura servendosi di una buona dose di semine e raccolti, in modo da regalare ai lettori un gustoso viaggio attraverso le dinamiche e gli obiettivi sia interni che esterni di un eroe. Anzi, in questo caso, di una coppia di eroi.

Anche per questo, è facile prevedere la risposta a un quesito sul modus operandi che incuriosisce sempre il lettore o collega di turno: ispirazione del momento o scaletta? “Io lavoro molto sulla mappa del romanzo, specialmente in questo caso, in cui dovevo gestire tre linee narrative”, risponde Rob. Quindi più Jeffery Deaver (autore che Hart adora per la sua capacità di portarti sulla strada sbagliata per poi sorprenderti e condurti verso una soluzione imprevedibile) che Stephen King, almeno nell’approccio.

Da piccoli vedevamo il domani con gli occhi dei registi, e un film come Back to the Future ci faceva immaginare un terzo millennio fatto di cieli impazziti per il traffico di macchine volanti. Il romanzo di Rob Hart ci porta a visualizzare una cartolina decisamente diversa: non automobili, ma droni. Droni con pacchi da consegnare. “Non accadrà subito, c’è tutta una regolamentazione sul traffico aereo da mettere a punto per renderlo possibile, ma si va in quella direzione”. Lo sappiamo, Rob. Siamo nella stessa barca (anche se, come sempre, ci arriveremo dopo).

Bene, amici miei. Avete tutte le informazioni necessarie per il vostro ingresso in Cloud. Il resto vi verrà comunicato da appositi video di benvenuto, una volta all’interno della struttura. Quando, un po’ come accade a Harry e compagnia con il cappello parlante di Hogwarts, verrete assegnati a questo o quell’incarico (ce ne sono diversi, vi lascio il piacere di scoprirli tra le pagine del romanzo).
Alcuni di voi saranno già scappati per andare a rifugiarsi in una libreria indipendente. So perché l’avete fatto: volete respirare ancora una volta quell’aria che presto, ahimè, ci verrà tolta. Ma voglio lasciare i lettori con un quesito: c’è una via d’uscita da un futuro del genere, o siamo ormai spacciati?

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