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martedì, Apr 07

Un altro mondo è possibile, ma non verrà a causa del coronavirus



Da Wired.it :

Più passano i giorni, più sembriamo convincerci che dopo l’emergenza ci sarà necessariamente una grande palingenesi: eppure la soluzione non sta nella distopia a buon mercato, ma nelle risorse del mondo di oggi

(foto: Getty Images)

Davvero siamo arrivati a un punto di svolta nella storia? Travolti da numeri non sempre chiari e affidabili sull’epidemia da coronavirus, da un mondo rivoltato, da un periodo di isolamento che ci sta rubando la lucidità e proiettando in un pantheon affettivo e famigliare fatto di ologrammi e videochiamate e soprattutto dai timori per il sostentamento economico, cominciamo a dividerci in qualche maniera fra apocalittici e integrati. Cioè fra quelli che gridano (anzi, scrivono) arrenditi e gli altri che rispondono neanche per sogno: ci salveremo.

I primi sono quelli che, fondamentalmente sui social network ma anche nelle opinioni su riviste e giornali, immaginano senza alcun dubbio un altro mondo. Ben oltre il new normal di cui molti parlano, sono pronti a fare i bagagli immaginari e partire per una società diversa della quale ovviamente ignorano i connotati: ma sono in fiduciosa attesa che qualcuno gli comunichi come sarà, cosa dovranno fare, quali saranno le sue nuove istruzioni. Se gli chiedi come se la immaginano, ti dicono: non lo so, ma di certo diversa. Insomma, un’assoluta vertigine tautologica. I secondi sono quelli che invece non vedono un altro mondo possibile, sia in chiave positiva che negativa.

Il lato costruttivo dei secondi parte da una serie di presupposti: sono le tecnologie e le ricerche scientifiche di questo mondo che ci tireranno fuori dall’emergenza. Per consegnarci sì a una nuova normalità evidentemente inevitabile per un certo periodo, ma che non sarà poi così diversa rispetto alla società precedente al coronavirus. Insomma, la soluzione all’emergenza non è scritta nella fascinazione un po’ facilona per la distopia a buon mercato. Non è scintillante nel dramma, non offre conforto ma buio. Sarà semmai una quotidianità un po’ più complicata e mortificante nelle piccole cose: i guanti, la mascherina, una certa distanza al ristorante e negli altri luoghi pubblici, nuove idee per strutture sanitarie ed educative, una digitalizzazione obbligata di tutta la Pa.

La storia, insomma, continua, e lo fa con le stesse risorse che scienza e politica hanno in mano proprio in questo momento, mentre col sacrificio di tutti concediamo loro del tempo per liberarsi dalla strage, per studiare e approfondire il nemico, addomesticarlo e preparare anche quel ceppo virale alla nuova normalità. Non c’è un’altra strada verso un mondo che non esiste, non una nuova stagione che possa iniziare né un qualche Charlie Brooker pronto a indicarci la strada per la nostra San Junipero. Ci sono al contrario parecchi studi (qui sul sito dell’Oms, l’elenco è impressionante): un database ormai popolato da migliaia di indagini, ciascuna delle quali sta agendo e ricostruendo nel e per il mondo di adesso, cercando le strategie giuste per neutralizzare Sars-CoV-2 e le sue più dure conseguenze sulla salute.

Non si tratta di ottimismo o pessimismo, sebbene qualche grammo in più del primo non guasterebbe: si tratta di non trasformare la pandemia in un punto di non ritorno. Proprio perché ce ne saranno altre, di crisi come queste. Non solo sanitarie, con agenti patogeni che ignoriamo e che potrebbero svilupparsi negli anni. Ce ne sono e saranno anche di altro tipo. Quella ambientale, per esempio, che sembra sparita dal dibattito pubblico ma che incombe forse ben più pesantemente del coronavirus sul nostro futuro, pur sconvolgendoci di meno. Ad essa è collegata quella delle risorse di ogni tipo: alimentari, naturali, tecnologiche. Ci saranno crisi ancora meno preoccupanti se viste con gli occhi dell’emergenza, eppure epocali, come quelle dell’automazione, in cui ribaltare completamente le dinamiche di lavoro e di sussistenza e trovare posto nel mondo per masse di individui sostituiti o affiancati dalle macchine. Queste sono solo quelle che abbiamo di fronte o possiamo intravedere, figuriamoci quelle di cui non percepiamo neanche l’ombra.

Dovremo dunque ogni volta cambiare mondo e rassegnarci a partire verso l’abisso delle nostre preoccupazioni, in una narrativa stanca impastata di fatalismo? Troppo facile scaricarsi delle responsabilità rimpallando il dramma a un mondo di riserva. Al contrario, bisogna rimboccarsi le maniche e leggere nei sacrifici i tutti, che accompagnano la sfida della conoscenza, l’unica via che già in passato ci ha portato fuori dai morti delle più violente malattie infettive, dalle macerie delle guerre e perfino da molti degli enigmi universali pochi decenni prima del tutto inaccessibili.

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[Fonte Wired.it]