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sabato, Ott 26

Un giorno potremo “proiettare” i sogni come fossero film?


Scienziati di ogni parte del mondo stanno studiando come registrare la nostra attività onirica per poi rivederla in video. Ma per il momento è ancora fantascienza

Ogni notte, il nostro cervello si immerge nel mondo onirico e ci fa fare tra i quattro e i sei sogni, dicono le statistiche a disposizione degli studi più quotati e recenti. La ragione per cui, una volta svegli, spesso non ne ricordiamo nemmeno uno è che il 90% dei sogni viene dimenticato dieci minuti dopo la conclusione. I sogni, insomma, sono rapidamente cancellati dal cervello, ma questo non significa che il loro ruolo sia di poco conto. Al contrario: nonostante alcuni esperti sostengano che siano solo il risultato dell’azione casuale dei neuroni, la maggior parte ritiene invece che i sogni abbiano una funzione importante nelle nostre vite. Più difficile, però, è capire quale sia questa funzione.

Sigmund Freud pensava che i sogni ci consentissero di realizzare i nostri più reconditi desideri. Alcuni sostengono che abbiano un ruolo evolutivo, insegnandoci nel sonno ad affrontare situazioni in cui potremmo incappare nella vita di tutti i giorni. Secondo altri esperti servono invece a fissare determinati ricordi sul lungo termine o a elaborare alcune emozioni o traumi.

Qualunque sia la lettura corretta, il minimo comune denominatore è abbastanza chiaro: i sogni influiscono sulla nostra vita. È esattamente quanto sostenuto da Daniel Oldis, ricercatore indipendente del mondo onirico e autore di The Lucid Dream Manifesto: “Quando le persone sognano, il loro corpo si muove e reagisce agli stimoli. Si muovono gli occhi e i muscoli del corpo: è come quando si è svegli, solo che si sta reagendo a una storia sognata. Come da svegli, il corpo sta quindi apprendendo da svariate esperienze. Impariamo dai nostri sogni, e questo influisce sulla nostra personalità”, scrive Oldis.

È proprio partendo da queste considerazioni che Oldis – in collaborazione con accademici dell’università del Texas, della Ucla, del laboratorio di ricerca dell’esercito statunitense e altri ancora (un gruppo che si è dato l’indovinato soprannome di dream team) – sta studiando come registrare i sogni con l’obiettivo di riprodurli come se fossero un vero e proprio film.

Per arrivare fin qui, i ricercatori sono partiti da progetti molto più realistici. Già nel 2017 hanno utilizzato un elettromiogramma (Emg) per misurare gli impulsi nervosi inviati ai muscoli e tenere così traccia del comportamento motorio di una persona che sta sognando, riproducendoli poi in un video che ha come protagonista un avatar in computer grafica. Prima di restare delusi dalla visione di questo video, considerate che – come ha affermato lo stesso Oldis – “siamo in una fase simile ai primi anni della corsa allo spazio. Solo che in questo caso siamo viaggiando nello spazio onirico.

Più affascinante è probabilmente il secondo passaggio del lavoro del dream team, che prevede di decifrare tutto ciò che diciamo nei sogni utilizzando degli elettrodi posizionati sulle labbra e sulla gola delle persone che hanno accettato di partecipare al test. Questo permette di registrare le parole dette nel sonno – anche senza emettere suoni – e poi confrontarle con quanto la persona ricorda di aver sognato (un nuovo test dovrebbe tenersi questo autunno).

Registrando sia i movimenti dei muscoli sia le parole pronunciate, potremmo avere un primo quadro di ciò che abbiamo sognato. In tutto questo, però, manca un elemento essenziale: le immagini che il nostro cervello ha prodotto e che sono la parte più importante se davvero si vuole, un giorno, riprodurre il film dei nostri sogni.

È esattamente ciò su cui sta lavorando il professor Yukiyasu Kamitani dell’università di Kyoto, in Giappone. Nel 2018, Kamitani ha pubblicato una ricerca in cui ha mostrato come, utilizzando una risonanza magnetica (che analizza l’attività cerebrale attraverso i flussi del sangue) e sfruttando un algoritmo di deep learning, sia possibile ricostruire le immagini pensate da una persona.

“Il nostro approccio può essere esteso per ricostruire differenti stati soggettivi, come le illusioni, le allucinazioni e i sogni, fornendo così una nuova finestra sui contenuti creati dalla mente”, ha spiegato Kamitani alla Cnn. In sintesi, gli studi di Kamitani hanno mostrato come l’attività cerebrale di una persona sveglia e quella di una che sta dormendo riproducano gli stessi pattern. Di conseguenza, registrando il comportamento cerebrale di chi da sveglio sta immaginando determinati oggetti, sarebbe possibile scoprire anche cosa sta vedendo in sogno. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente. “Finché non potremo guardare nel cervello di qualcuno da sveglio e dire ‘ecco cosa sta immaginando e pensando’ non è certo possibile farlo con i sogni”, ha infatti precisato il professore.

Altri studiosi, come Moran Cerf della Northwestern University, stanno lavorando per sistemare degli elettrodi nel cervello di chi sta subendo un’operazione chirurgica, per poter ascoltare l’attività dei neuroni. Questo potrebbe fornire un accesso diretto ai temi dei sogni dei pazienti, senza però scoprire nel dettaglio che cosa abbiano visto: “Potremmo per esempio dire loro che hanno sognato i genitori, ma non sapremmo che cosa i genitori stavano indossando nel sogno”, ha spiegato Cerf.

Nel giro di qualche anno, sempre secondo Cerf, potrebbe quindi diventare realtà un dispositivo in grado di analizzare il comportamento del nostro cervello e poi dirci a grandi linee che cosa abbiamo sognato. Non un traguardo da poco, ma comunque ancora molto distante da un sistema in grado di riprodurre i sogni come un film, che potrebbe avere la forma – secondo Daniel Oldis – di un pigiama pieno di sensori che registrano il movimento dei muscoli, unito a un cappello con cinturino che analizzim i movimenti delle labbra e che utilizzi la risonanza magnetica per memorizzare le immagini sognate (se poi si possa dormire indossando un’armatura del genere è un altro discorso).

Tutto questo non è soltanto molto distante (uno o due decenni, secondo gli stessi ricercatori che ci stanno lavorando), ma pone anche un’ovvia domanda: perché mai dovremmo registrare i nostri sogni? Un possibile utilizzo potrebbe essere in campo terapeutico: se davvero i sogni ci aiutano a elaborare le emozioni o alcuni traumi, per gli psicologi e gli psichiatri potrebbe essere molto utile osservare da vicino il loro contenuto, invece di affidarsi alle nostre lacunose ricostruzioni.

Ci sono però anche dei rischi: accetteremmo, per esempio, che dispositivi di questo tipo vengano utilizzati dalle forze dell’ordine o dall’esercito per provare a estrarre informazioni a un prigioniero? Per fortuna, immaginare scenari da Guantanamo del mondo dei sogni è ancora ampiamente prematuro. Un’altra avvertenza ci viene però dalla fantascienza distopica: in Fino alla fine del mondo, il film di Wim Wenders del 1991, un dispositivo in grado di riprodurre i sogni provoca un effetto indesiderato: le persone ne diventano dipendenti e passano tutto il tempo a dormire, svegliandosi solo per rivedere i loro sogni. Troppo improbabile? Forse sì. Ma considerando quante volte la fantascienza ha accuratamente previsto il futuro, è il caso di tenere a mente questo monito.

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