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mercoledì, Giu 26

Un universo in 2D potrebbe esistere e ospitare la vita. La teoria di un fisico


Secondo il fisico James Scargill la vita in teoria potrebbe esistere anche in un universo non tradizionale, ovvero in sole due dimensioni spaziali invece che tre. L’ipotesi è puramente astratta e descritta in una complessa costruzione matematica

universo in 2D
(foto: Mark Garlick/Science Photo Library via Getty Images)

Lo spaziotempo in quattro dimensioni (tre spaziali e una temporale), la struttura dell’universo introdotta da Einstein, alla base della relatività, un pilastro della fisica moderna che ha ricevuto numerosissime conferme, potrebbe non essere l’unico ad ospitare la vita. Oggi, un fisico dell’università della California a Davis, James Scargill, ha formulato una nuova teoria per cui un universo in 2D, due sole dimensioni spaziali (o meglio 2+1 dimensioni, inclusa quella temporale) potrebbe non solo esistere, ma anche ospitare forme di vita.

Il tutto ovviamente è in astratto e frutto di una complessa costruzione matematica. Il paper, dal titolo Can Life Exist in 2 + 1 Dimensions? è pubblicato su arXiv. Un articolo del Mit ha analizzato il testo di Scargill illustrando che questo universo potrebbe effettivamente esistere, almeno in teoria, anche se l’ipotesi della vita è più complessa da sostenere.

Universi in più o meno dimensioni spaziali

Da decenni, filosofi e fisici discutono sulla possibilità che la vita esista anche in un universo non tradizionale, con un più alto (o più basso) numero di dimensioni, un cosmo ad esempio in 4D oppure in 2D. La maggior parte degli scienziati ha concluso che universi di questo genere non potrebbero ospitare la vita. L’idea è che in un mondo in più di 3D la gravità di Newton che descrive il moto potrebbe essere soggetta a particolari perturbazioni, che potrebbero impedire la formazione delle orbite dei pianeti – ad esempio della Terra intorno al Sole. Ma anche se riduciamo di un’unità le dimensioni del nostro universo sorgerebbero problemi simili (il Sistema solare non si formerebbe) e le leggi di Newton potrebbero essere messe in difficoltà.

Esistenza di un universo in 2D e presenza di vita

Il fisico Scargill ha voluto cercare di capire se effettivamente un universo in 2D non può esistere e non può supportare la presenza di vita. Nell’articolo l’autore ha considerato i due principali argomenti sostenuti dagli scienziati contrari a queste due ipotesi. Da un lato, i fisici sostengono che un universo in 2D non può esistere perché non c’è una forza gravitazionale locale in uno spazio bidimensionale. Qui non c’è la terza dimensione, ovvero la profondità, e in questo universo la gravità non funzionerebbe. Pertanto non ci sarebbero atomi e oggetti più strutturati, come i pianeti. Inoltre, in questo universo la vita sarebbe impossibile. Ma oggi Scargill l’autore prova ad aggirare questi ostacoli attraverso una complessa – e comunque solida a livello teorico, come conferma il Mit – struttura matematica.

Una complessa costruzione

Il primo punto – il problema della gravità – viene superato attraverso l’introduzione di una particolare teoria della gravità (detta puramente scalare) in questo nuovo spazio, basata su orbite intorno a sorgenti puntiformi. Questa teoria risponderebbe alla prima obiezione, andando a sostegno dell’esistenza di un universo in 2D. Per quanto riguarda la vita l’autore ha analizzato l’eventuale presenza di network bidimensionali che possano rappresentare reali reti neurali. Il fisico ha mostrato che esistono alcuni gruppi di grafi, particolari oggetti discreti che permettono di schematizzare situazioni e processi complessi, che ricordano l’assetto di reti neurali biologiche esistenti. In pratica, queste reti biologiche possono essere rappresentate attraverso speciali proprietà che questi oggetti possiedono. In particolare i grafi considerati dall’autore sono quelli planari, ovvero quelli raffigurabili in un piano in cui non vi sono archi che si intersecano (dunque non si tratta di strutture in 3D).

“È un risultato affascinante”, si legge sulle pagine del Mit, che però sottolinea come la presenza di un universo in 2D non significa che questo possa supportare la vita. Ma anche l’autore richiama la necessità di cautela rispetto all’ipotesi. “È necessario un lavoro aggiuntivo – sottolinea Scargill nel paper – per comparare i grafi presentati qui con le reti neurali viventi”. E il fisico rimarca come la possibilità di vita in 2D (o meglio in 2+1 dimensioni) richieda ulteriori indagini.

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