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sabato, Mar 04

Università, il disagio psicologico e un sistema che non sa affrontarlo



Da Wired.it :

Palermo, Milano, pochi giorni fa Napoli. Suicidi di ragazze e ragazzi di 19 e 22 anni all’università, spesso a un passo dalla laurea (ma questo non c’entra poi granché) che sono evidentemente la punta di un iceberg. No, non si tratta – come ha indegnamente scritto qualcuno – di “sociologizzare” né di riflessi pavloviani nel criticare automaticamente gli aspetti più controversi del nostro sistema sociale ed educativo. Si tratta di capire che se il disagio psicologico è molto diffuso nella popolazione generale, in alcune fasce rischia di esplodere. E quindi occorrerebbe occuparsene, nel modo migliore possibile. Tutto qui: senza scivolare nell’eccesso parlando di sistema universitario neoliberista efficientista ma guardando ai fatti. 

E i fatti sono chiari. Dicono che – come spiegava VdNews – secondo una ricerca (Porru, Robroek, Bultmann e Portoghese) su un campione di 4.760 studenti universitari italiani, il 5% degli intervistati ha sperimentato un disagio psicologico mentre il 21,3%, 21,1% e 36,1% ha confessato rispettivamente un disagio psicologico lieve, moderato e grave. Insomma, uno studente universitario su tre ha qualche problema col suo percorso di studi, con la sua vita stretta fra voti, esami, famiglia, sostentamento, insomma con il sistema con cui si ritrova da avere a che fare, e questa percentuale sembra essere aumentata in modo marcato negli ultimi dieci anni. 

Difficile dire da cosa dipenda ma, per assurdo, forse un contributo lo fornisce proprio il fatto che quel sistema universitario non è affatto meritevole ed efficientista. Semmai è inutilmente rigido, arroccato su posizioni di rendita e quasi del tutto scollegato dal mondo del lavoro. E forse quell’aumento dipende anche dal fatto che con un titolo, specie se ottenuto in un’università pubblica e slegato dunque dai rapporti relazionali che gli atenei privati di alto livello garantiscono in cambio di salatissime rette, ci fai poco. Nel frattempo il valore della preparazione in senso assoluto, e quindi di quella laurea tanto sofferta, perde sempre di più peso nelle dinamiche quotidiane, nella ricerca di un giusto compenso, nell’impostazione di un percorso di vita coerente. Basta vedere il lavoro che sta conducendo in questi mesi la giornalista Charlotte Matteini su TikTok rispetto al mondo del lavoro: un marasma in nero, una vera giungla dell’impunità in cui i titoli di studio sono gli ultimi problemi di chi offre impieghi oltre lo sfruttamento e senza alcun pudore.

Di supporti psicologici nelle università qualche traccia c’è, da Roma Tre a Bologna, da Catania a Siena. Sono sportelli sui quali francamente è complesso esprimere una valutazione e che comunque non rientrano in una strategia nazionale strutturata, e dunque il loro lavoro non è neanche valutabile se non, forse, analizzando gli eventuali sul tema dei singoli atenei. Questo significa probabilmente che non godono di finanziamenti dedicati, che appunto non c’è un monitoraggio preciso del loro lavoro e che magari servono al singolo ma non ci servono a capire come evolva il fenomeno. Giusta dunque la mossa della ministra dell’Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, di predisporre un provvedimento finalizzato alla creazione di un presidio per il benessere psicologico degli studenti, da concordare con gli atenei e con tutti i luoghi dell’alta formazione che già non vi abbiano provveduto. Vedremo le promesse sull’onda del primo suicidio, quello d’inizio febbraio allo Iulm di Milano, in cosa si trasformeranno. 



[Fonte Wired.it]