Seleziona una pagina


Remake di uno dei titoli che più hanno segnato il filone videoludico dei Teen Horror, il gioco si basa sul concetto di “effetto farfalla”. Le scelte che si compiono durante l’avventura, infatti, possono a portare a decine di diversi possibili futuri, tutti da esplorare

Amicizia, amore, rabbia, odio, gentilezza, carità, tradimento. Sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano Until Dawn, il remake dell’omonimo titolo del 2015 uscito venerdì 4 ottobre per PS5 e PC.

Realizzato da Ballistic Moon, la software house formata da ex dipendenti di Supermassive Games (che diede i natali all’opera originale), è un titolo fortemente immersivo, estremamente realistico e che punta tutto sull’emotività dei personaggi e di chi li sta giocando. Il gioco si basa in modo esplicito sul concetto di effetto farfalla del fisico Edward Lorents: “Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”

La risposta è sì: in Until Dawn, il gioco di oggi come quello di ieri, una scelta può fare la differenza tra la vita e la morte. Raccogliere un’arma in un momento cruciale dell’avventura potrebbe garantire la propria sopravvivenza molte ore dopo; prendere una strada accidentata a destra invece che il percorso sicuro a sinistra potrebbe farvi arrivare in tempo per salvare un amico; e ancora stringere rapporti positivi o negativi con gli altri personaggi potrebbe comportare un aiuto nel momento del bisogno oppure l’abbandono verso un destino tragico.


La trama

Parliamo di un remake, quindi la trama di questo titolo non si discosta in modo significativo da quello originale, anzi. Lo svolgersi degli eventi è rimasto pressoché intonso, con solo piccole variazioni in alcune specifiche reazioni dei protagonisti, ma si tratta di un punto a favore e non a sfavore: d’altronde, la trama era uno dei cavalli di battaglia dell’originale che qui viene rispettata e, in un paio di casi possibili da sbloccare, anche ampliata. 

In breve e senza spoiler: otto ragazzi decidono di passare il weekend in una baita in montagna di proprietà di uno di loro, con lo scopo di divertirsi ed esorcizzare un certo evento traumatico che li ha coinvolti in passato. La montagna si chiama Blackwood Pines e nasconde tanti segreti, uno fra tutti è la presenza di qualcun altro, un pericoloso serial killer, che abita tra quelle cime e che tenterà di nuocere ai protagonisti. Compito dei giovani sarà quindi quello di svelare il mistero che circonda i monti innevati, scoprire la verità sul loro passato e cercare di sopravvivere Until Dawn, fino all’alba. 

Insomma, un classico del genere Teen Horror che prende a piene mani dalla letteratura e dal cinema di fine anni ’90 e inizio 2000, con colpi di scena ben piazzati e rivelazioni inespettate, condite da qualche jumpscare e un tocco di paranormale che non può mai mancare. Se c’è un punto debole, che però si esaurisce superate le fasi iniziali di gioco, è una presentazione stereotipata di come, secondo gli sviluppatori, si comportano gli adolescenti, con dialoghi piuttosto infantili che nulla hanno a che vedere con quanto si vedrà in seguito. È infatti superando la prima ora di gioco che si scopre il punto più alto dell’esperienza, che sta a cavallo fra trama e gameplay, ovvero il rapporto tra i personaggi, la loro evoluzione psicologica e la scelta, vero elemento d’innovazione che già nel 2015 consacrò Until Dawn come uno dei capolavori di questo filone videoludico.




approfondimento

Until Dawn, David F. Sandberg dirigerà l’adattamento cinematografico


Gameplay

L’avventura principale è divisa in dieci capitoli, il giocatore ha la possibilità di controllare a turno ognuno degli otto protagonisti portando avanti diverse sottotrame. Nonostante ciò, la storia principale si esaurisce in una decina di ore al massimo. Non parliamo di una speedrun: durante la nostra prova ci siamo concentrati non solo sul completamento dell’avventura, ma anche sulla ricerca di oggetti e indizi nascosti e sull’esplorazione della bellissima mappa esplorabile. Questo perché l’esperienza di gioco è data per lo più dalla sua rigiocabilità, tornare indietro per compiere scelte diverse e cercare di far sopravvivere più personaggi possibili, oppure per scoprire ogni morte programmata nel gioco. Il Platino, quindi, richiede molte ore di gioco in più, ma non è di certo il titolo per chi non trova soddisfacente giocare più versioni della stessa avventura.

Abbiamo citato la mappa di gioco, che rappresenta uno degli elementi più soddisfacenti dell’intero gameplay. Non è una sorpresa che la principale novità di questo titolo, rispetto all’originale, sia una veste grafica migliorata sotto ogni punto di vista, più nitida, più definita, più realistica, che nella mappa di gioco dà il suo meglio: il world building ben caratterizzato e sfaccettato dona la sensazione di esplorare una montagna vera e propria, in un panorama innevato che può davvero lasciare a bocca aperta.

Un cambiamento drastico rispetto al titolo del 2015 è invece l’assenza della telecamera fissa, qui sostituita con una visuale in terza persona alle spalle del personaggio giocante. Rimuovere una scelta artistica del primo titolo come questa, molto apprezzata dai fan, è stato un rischio che a volte ha inficiato il gameplay spezzando l’ambientazione angosciosa, ma non sempre: in molte scene, infatti, la telecamera si sposta da dietro al giocatore e torna semi-fissa, mostrando ancora una volta l’occhio esperto degli sviluppatori.

Gli altri elementi di gioco si alternano tra la ricerca di indizi e oggetti nascosti, come per esempio i totem (strumenti che mostrano sprazzi di alcuni possibili futuri), i quick time events (comandi specifici in brevi lassi di tempo, come sparare o saltare un ostacolo durante una fuga), e la miriade di scelte da effetturare per raggiungere l’alba del giorno dopo. Il tutto è incorniciato da un buonissimo doppiaggio, solo a tratti calante, che permette un’immersione ancora maggiore.

In definitiva, il gameplay è risultato coinvolgente e appassionante, con una buona dose di ansia e soprattutto divertente e mai noioso. Se c’è un punto su cui veramente fallisce è invece nell’incutere paura, ma anche nel titolo originale l’idea di fondo era più quella di trasmettere una sensazione angosciante che di vero terrore.

 


Comparto artistico

Da un punto di vista artistico questo remake si discosta non poco dal titolo originale. La differenza maggiore è l’addio al filtro blu, caratteristico della prima esperienza a Blackwood Pines, abbandonato a favore di una palette di colori più realistici e di una maggior precisione nell’uso della luce. Scelta apprezzabile per i neofiti di questo gioco, ma che farà di certo storcere il naso ai fan di lunga data che non potranno che sentirsi privati di un elemento caratterizzante.

Nota a favore, almeno rispetto al trailer di gioco, è il contesto notturno in cui si svolge l’avventura. Le immagini rilasciate a pochi giorni dall’uscita del gioco, infatti, facevano presagire un’eccessiva illuminazione che mal si sposava con il concetto stesso di Until Dawn, che avevano portato alcuni utenti a rinominare il gioco come “Already Dawn”. Non c’è però d’aver paura, superato un iniziale tramonto l’intera avventura è ambientata in una notte scura e scarsamente illuminata e ci si ritroverà più volte a dover strizzare gli occhi nell’oscurità alla luce di una torcia improvvisata, di una candela o di una lanterna.

Cambiata, inoltre, anche la colonna sonora di Jason Graves, sostituita da una nuova di zecca composta da Mark Korven.

Comparto tecnico

Dal lato tecnico ci sono tanti alti e pochi bassi. Cambiato il motore grafico, da Decima Engine a Unreal Engine, questo remake viaggia quasi sempre sui 30 fps fissi, con qualche rarissimo calo nelle scene di maggior confusione. Piccole sbavature tecniche anche nelle espressioni dei personaggi, comunque nettamente migliorate rispetto all’originale, trainate da una grafica mozzafiato e un world building ben strutturato.

Unica nota dolente, che ha spezzatao l’avventura ed è stata riscontrata non solo da noi ma da diversi utenti, è un bug che impedisce per un periodo, a un certo punto della storia, di far scendere un personaggio lungo una scala.


Pro e contro

Quando si toccano opere che hanno segnato la storia di un genere è inevitabile scontentare qualcuno, chi perché non trova differenze e allora si chiede “ce n’era veramente bisogno?” e chi, invece, perché ne trova troppe e grida alla “rovina” dell’originale.

Il remake di Until Dawn è un gioco che punta sicuramente su chi non l’ha mai provato prima, un must have per gli appassionati del genere, ma che ha poco da donare a chi ha vissuto l’esperienza su PS4. Al netto delle considerazioni fatte, il titolo originale si difende ancora benissimo e perciò, per chi lo ha già giocato, è difficile pensare di voler spendere 60 euro su qualcosa di pressoché identico. Per tutti gli altri Until Dawn Remake è un piccolo gioiellino, divertente, intrigante, visibilmente appagante e con pochi difetti, su cui è facile soprassedere per continuare ad assaporare la storia, le ambientazioni e il rapporto tra i personaggi.



Fonte