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lunedì, Dic 09

V Wars, una serie sui vampiri che non morde come dovrebbe


Con Ian Somerhalder (The Vampire Diaries) nei panni dello scienziato che vuole salvare l’umanità, è un horror senza infamia e senza lode. Se siete patiti del genere, difficilmente lo troverete innovativo

Un virus antico che infetta l’umanità e ne trasforma parte in vampiri è la premessa di V Wars, serie originale Netflix fortemente derivativa a metà tra horror e fantascienza. Ian Somerhalder, già avvezzo al genere (era l’iconico Damon Salvatore di The Vampire Diaries) passa dall’altra parte della barricata e questa volta interpreta un umano, lo scienziato Luther Swann, il quale si imbatte per primo nel virus assieme al collega Michael Fayne, destinato a diventare il primo infetto a trasformasi in una razza di vampiri senzienti. Poco prima Swann aveva manifestato profeticamente la convinzione che non sarebbero state l’inquinamento, le guerre o calamità varie a spazzare via la specie ma proprio un virus preistorico. Una capatina in Artide che libera il batterio, come in uno dei migliori episodi di X-Files (Morte tra i ghiacci) costituisce l’evento che innesca l’epidemia. Quello di V Wars è lo stesso canovaccio dei romanzi di Guillermo del Toro (poi adattati nella serie via cavo The Strain): la storia gira proprio intorno allo scienziato che ha assistito alla prima diffusione del virus ed è in cerca di una cura, mentre un antagonista vampiro scaltro guida la controffensiva e il governo prende misure drastiche.

I protagonisti, come nella britannica Ultraviolet, sono un uomo e il suo amico diventato vampiro – Swann e Fayne – che diventano i fulcri di due schieramenti, quello umano e quello postumano – più forte, più agguerrito ma anche più esile numericamente – che devono decidere se lottare per la supremazia o per una quieta coesistenza. A livello macroscopico, la contrapposizione è la medesima: mentre il Dns, il Dipartimento della Difesa americano, trama per sterminare i “Blood” e relega i contaminati in campi di concentramento cospirando per tenere all’oscuro l’opinione pubblica, i vertici dell’Fbi, esclusa dall’operazione, si adoperano per prendere il controllo della situazione e promuovere risoluzioni meno bellicose.

V Wars è un buon horror, con qualche momento non esattamente spaventoso ma con atmosfere e situazioni classiche che restituiscono qualche attimo di tensione. Vanta anche qualche scena efferata, violenta e sanguinolenta al punto giusto, senza mai indugiare o strafare, per poi perdersi in spiegoni e divagazioni – lunghe digressioni che spiegano quello che sta accadendo in termini scientifici e politici – e tante sottotrame. Queste sono incentrate su figure che non sono in grado di alimentare l’interesse dello spettatore e che non ne hanno neanche motivo, considerato come la maggior parte delle rispettive linee narrative non venga curata e finisca liquidata assieme al personaggio. Anche il conflitto politico tra le forze che predicano contenimento e/o sterminio e quelle che promuovono la coabitazione non è particolarmente avvincente, pena il ripetersi di un format visto e stravisto che è una costante dell’horror a valenza sociale (soprattutto se dedicato agli zombie).

Quello su cui vale la pena concentrarsi è, invece, il protagonista Swann e la disamina dei suoi sforzi su più fronti: trovare una cura, informare della verità l’opinione pubblica e proteggere i suoi cari, nello specifico la ex moglie, il figlio e l’amico diventato vampiro. Il rapporto tra Fayne (il quale millanta un auto controllo sulla propria brama di sangue invero mai dimostrata) disposto a tutto per la sopravvivenza e Swann, disposto a – quasi – tutto per salvare l’amico, è l’aspetto meglio sviluppato e riuscito della serie. Somerhalder si impegna con tutto se stesso per scrollarsi di dosso l’etichetta di sex symbol ed ex star delle serie teen, con questa una parte adulta: ci riesce, in parte, più per buona volontà che per il valore di una prova attoriale a cui manca la materia prima (Somerhalder è tante cose ma non un interprete eccellente). A Netflix va il merito di aver saputo sfruttare abilmente la fama di Somerhalder come idolo delle teenager di The Vampire Diaries – basti pensare alla campagna pubblicitaria messa a punto con tanto di lettura delle fanfiction hot dedicate al personaggio di Damon Salvatore, lette dallo stesso interprete.

La piattaforma digitale dimostra di aver imparato la lezione dell’Asylum, la casa di produzione di film horror e catastrofici più o meno trash che ricicla da un decennio antiche glorie del genere come esche per il vasto pubblico di seguaci del genere. Questo espediente ha un valore ben preciso per V Wars, quello di attirare una fascia di pubblico che normalmente non si avvicinerebbe a questo tipo di show e le cui conseguenze più lampanti sono una netta virata verso un linguaggio narrativo adatto anche a chi non mastica l’horror. Curiosamente, infatti, la serie prende le distanze dallo stile che caratterizza la maggior parte delle sue produzioni precedenti e realizza uno show adatto alla programmazione in seconda serata di un canale nazionale americano. In parole povere, sembra una serie da canale generalista, con relativi pro e contro. V Wars, tratta da una serie omonima di fumetti è, per forza di cose e come accennato, fortemente derivativa (come accennato, è un mix di The Strain, In the Flesh, The Walking Dead, etc) con poche – ma qualcuna c’è – idee nuove.

Cimentarsi con un sottogenere dell’horror come quello dei vampiri, già trattato in ogni tipo di declinazione, dal sociale al teen romantico, può avere solo due esiti: produrre una serie/film superflua o sfornare un capolavoro. V Wars (al netto dell’esilarante epilogo con Somerhalder in versione Rambo alla riscossa) fa parte del primo gruppo.

 

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