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Visti Cina, arriva il primo programma per attirare i talenti Stem dal resto del mondo

by | Ott 6, 2025 | Tecnologia


Il contraccolpo è stato tale da spingere il quotidiano statale Global Times — noto per il suo taglio nazionalista — a pubblicare una replica. Il visto K, ha scritto la testata, rappresenta una Cina più aperta e sicura di sé nella nuova era, agli occhi del mondo”. L’articolo ha poi sottolineato che il programma è molto diverso dal sistema degli H-1B statunitensi: “Il visto H-1B è ampiamente considerato un visto di lavoro pensato per rispondere alle esigenze delle industrie statunitensi”, ha spiegato il giornale. “Al contrario, il visto K della Cina mira a promuovere gli scambi e la cooperazione tra giovani cinesi e professionisti stranieri della scienza e della tecnologia”.

Un difficile equilibrio

Pechino sta cercando di trovare un equilibrio tra due valori in competizione, che potrebbero definire la Cina dei prossimi decenni: apertura e autosufficienza. Il paese vuole da una parte attrarre i migliori talenti della tecnologia e della scienza e sa bene che iniziative come il programma H-1B hanno aiutato gli Stati Uniti a diventare una superpotenza tecnologica globale. È probabile che il governo locale sia particolarmente interessato ad attirare ricercatori specializzati in settori in cui la Cina è ancora relativamente carente, come la progettazione di semiconduttori.

Allo stesso tempo, però, il paese non può permettersi di apparire dipendente o subordinato all’expertise straniera. Ha costruito quella che è probabilmente la più ampia e solida rete di formazione Stem al mondo e non vuole che i propri laureati temano che gli stranieri possano “rubare” i loro posti di lavoro.

A differenza degli Stati Uniti, la Cina non è un paese di immigrati. Nel 2020, secondo una stima del Kiel Institute for the World Economy, solo lo 0,1 per cento della popolazione continentale era composta da stranieri: circa 1,4 milioni di persone su oltre 1,4 miliardi di abitanti. Negli Stati Uniti, invece, gli immigrati rappresentano il 15 per cento della popolazione. Anche altri paesi dell’Asia orientale, come Giappone e Corea del Sud, ospitano una quota di stranieri molto più alta.

Poiché gli Stati Uniti hanno già una vasta popolazione immigrata proveniente da ogni parte del mondo, l’ambientamento dei nuovi arrivati può risultare più facile. Le aziende locali operano in inglese, la lingua globale degli affari. Colleghi e amici comunicano su piattaforme come Gmail e Instagram, accessibili nella maggior parte del mondo. E, sul fronte dei comfort quotidiani, i titolari di visti H-1B provenienti da India o Cina che arrivano a San Francisco o a New York non avranno difficoltà a trovare ristoranti — anche ottimi — che servano piatti dal sapore di casa.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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