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mercoledì, Mag 10

Vita umana, può essere più lunga di così? | Wired Italia



Da Wired.it :

Il miglior repertorio mondiale di dati sulla mortalità è lo Human Mortality Database, che però raggruppa tutti gli over 110 in un’unica categoria. C’è poi l’International Database on Longevity (IDL), una banca dati di persone vive e decedute che hanno raggiunto o superato i centocinque anni, alla cui creazione Robine ha collaborato nel 2010. Nel suo momento d’oro, l’IDL è arrivato a contenere dati provenienti da 15 paesi, ma l’inasprimento delle norme sulla privacy ha reso la copertura recente più frammentaria. Alcuni paesi hanno parzialmente ritirato le informazioni condivise.

Il Giappone, per esempio, ha il record mondiale di centenari pro capite, ma nel 2007 il Ministero della salute, del lavoro e del welfare ha limitato i dati pubblicamente accessibili, con la conseguenza che uno dei più ricchi bacini di superanziani al mondo ha smesso di fornire dati utili. E nei paesi che ancora ne producono convalidare e reperire certificati di nascita che possono risalire anche all’inizio del diciannovesimo secolo è ancora una procedura laboriosa e frustrante. Per verificare l’età di Jeanne Calment, Robine ha interrogato la supercentenaria sui suoi primi anni di vita, per poi incrociare le risposte con registri ecclesiastici, dati di censimenti e certificati di morte. Nonostante ciò, l’IDL documenta poco meno di diciannovemila persone, tra vive e morte, provenienti da tredici paesi. Ma per Robine è indispensabile raccogliere più dati.

La fine della ricerca sulla longevità

Il suo amico Jay Olshansky, epidemiologo dell’università dell’Illinois a Chicago, la pensa diversamente. “Che il tasso di mortalità si stabilizzi o continui a salire probabilmente è irrilevante”, afferma. Il fatto stesso che dopo i centodieci anni sia così difficile calcolare tassi di mortalità attendibili ci dice tutto ciò che c’è da sapere sui limiti della longevità umana: i supercentenari sono così pochi perché quel limite l’abbiamo raggiunto. Jeanne Calment, unico individuo ad aver superato i centoventi anni, non è altro che un’eccezione statistica, dice Olshansky. Altri potrebbero battere il suo record di qualche anno, ma non vuol dire che la vita umana continuerà ad allungarsi.

Olshansky ritiene anzi che il nostro interesse ossessivo per gli umani ultralongevi non sia il giusto approccio. “Studiare gli individui estremamente longevi è come studiare Usain Bolt e dire: ‘Tutti possiamo correre come lui’ – osserva –. Indicarli come una possibilità universale è da ingenui”. Olshansky sostiene invece che nel mondo sviluppato la ricerca della longevità si sia pressoché conclusa. Viviamo già vite lunghissime, sottolinea. Nel 1990 scrisse un documento in cui sosteneva che eliminare ogni forma di cancro – all’epoca responsabile del 22 per cento dei decessi negli Stati Uniti – avrebbe allungato l’aspettativa di vita degli americani di soli tre anni. Dopo una certa età, se una cosa non ti uccide, lo farà la prossima dietro l’angolo.

Qualità invece che durata

A sentire Olshansky, più che concentrarci sulla durata della vita dovremmo pensare a come aiutare le persone a vivere in modo più sano. È d’accordo anche Juulia Jylhävä, ricercatrice responsabile presso lo svedese Karolinska Institutet e consulente scientifico per MedEngine, un’azienda medica finlandese di data science. “Di sicuro dovremmo concentrarci di più sulla durata della salute – dice Jylhävä – e su come mantenere, oltre a quella, anche le capacità funzionali”.



[Fonte Wired.it]