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martedì, Mar 30

Warrior 2: la serie di Bruce Lee è la Gangs of New York della tv



Da Wired.it :

Dal 30 marzo su Sky Atlantic e Now Tv, l’action in costume che descrive le rivalità tra comunità cinese e irlandese nella San Francisco del 1870. Un avvincente ritratto di una società multietnica in perenne conflitto che si rifà al gangster movie di Scorsese

Oggi, il 30 marzo, su Sky Atlantic e Now Tv esordisce la seconda stagione di Warrior, period in salsa action prodotto dal Justin Lin di Fast & Furious, tratto da un soggetto scritto nientemeno che da Bruce Lee  e ispirato alla storia della sua città natale, San Francisco. Nel 2002 Martin Scorsese ha diretto Gangs of New York, ispirando una serie di film e di serie tv su fatti e personaggi reali che ricostruivano le lotte tra bande, lo specchio delle rivalità sociali scatenate dalla povertà in cui versavano gli immigrati in America, specialmente quelli appartenenti alle minoranze etniche.

Copper, serie di Bbc America con la medesima ambientazione – i Five Points newyorkesi, collocati all’incrocio tra Chinatown e il distretto finanziario – del 2012 prodotta da Barry Levinson, è ambientata nel medesimo luogo e nei medesimi anni (intorno al 1860) e segue le vicende di un poliziotto che cerca di contenere questi scontri. Warrior, serie al suo debutto nel 2019, è ambientata nella San Francisco del 1870 e mette in scena la faida tra gang irlandesi e cinesi, quasi uno spinoff delle due produzioni citate (nel cast figura pure Tom Weston- Jones, che riprende con un nome diverso il medesimo personaggio rivestito in Copper).

La prima annata si apriva sullo sbarco di Ah Sahm, esperto di arti marziali cinese mezzosangue (il nonno era bianco e gli ha insegnato lingua e cultura inglesi) in America, alla ricerca della sorella. Poco dopo attira l’attenzione dei poliziotti che non si capacitano del suo inglese fluente e finiscono stesi al tappeto con due mosse di kung fu. Per Ah Sahm è il primo paragrafo, emblematico, di una nuova vita caratterizzata dai pregiudizi nei confronti del suo popolo, reo di essere emigrato negli Stati Uniti per rubare il lavoro agli “americani veri”, ovvero alla generazione precedente di immigrati provenienti principalmente da Irlanda e Inghilterra.

La prima annata ha messo le carte in tavola, descrivendo il temperamento impulsivo e lo spirito ambizioso del protagonista, sfruttando l’impressionante somiglianza del suo interprete Andre Koji con Bruce Lee (accentuato dalla sua bravura nel copiarne i manierismi e lo stile), introducendo i vari tong (i clan cinesi) che si contendono il controllo sul territorio di Chinatown, illustrando le tensioni sociali tra le etnie locali e come queste influenzavano la politica di San Francisco, con un sindaco demagogo deciso ad assecondare le istanze razziste e anticinesi e gli imprenditori ben contenti di poter sfruttare una manodopera (quella asiatica) ancora più economica di quella irlandese.

La seconda stagione sviluppa le tematiche e i personaggi di Warrior attestandosi come un’annata molto più coesa narrativamente, più attenta alla psicologia, più acuta nel ricostruire gli attriti sociali e farne una parabola del corrente razzismo dilagante negli Usa e più, in generale, avvincente. I nuovi episodi si aprono sui selvaggi incontri clandestini che alimentano il mercato delle scommesse degli amanti degli scontri senza regole: Ah Sahm, traumatizzato dalla sconfitta subita nel duello con Li Yong che lo a quasi ucciso, si cimenta regolarmente nell’arena teatro dei match più violenti e sanguinosi. È accecato dalla rabbia, dalla frustrazione e dal desiderio di vendetta nei confronti della sorella che era venuto a salvare, Mai Ling, ma che ha ritrovato ostile, aggressiva e vincente nel suo ruolo di leader di uno dei tong di Chinatown.

La seconda stagione vede un Ah Sahm ancora testa calda e riottoso ma più scaltro che con l’amico Young Jun, figlio di un boss dei tong, sviluppa nuovi traffici illegali. Andrew Koji non è un granché come attore né brilla per grande presenza scenica ma si sforza di ritagliarsi una personalità propria e non essere più il sosia di Bruce Lee di cui imita le mosse indossando la stessa canotta bianca. Nelle ultime puntate i manierismi alla Lee, complice la comparsa di un paio di nunchaku (arma prediletta di Bruce), tornano prepotentemente per entrare a far parte di una memorabile sequenza di scontri tra bande che conferma Warrior come la migliore serie action degli ultimi anni. Tuttavia, Ah-Sahm è molto di più che il pretesto per esaltanti scene di arti marziali.

È un villain coi rimorsi – come quelli nei confronti delle persone che inganna per agevolare la sua impresa – a cui manca la quantità d’odio necessaria per perpetrare la vendetta promessa alla sorella, è un villain con un innato senso della giustizia sociale che si schiera istintivamente dalla parte dei compaesani più deboli vessati dai bianchi. In uno confronto verbale emblematico con Dylan Leary, leader del sindacato irlandese che accusa i cinesi di rubare il lavori, Ah-Sahm dimostra anche un’invidiabile dialettica in cui esprime la posizione tuttora attuale di chi contesta ai wasp, ai maschi bianchi discendenti degli immigrati anglofili, l’arroganza di definirsi “vero americano”.

È questa linea narrativa dedicata al razzismo e alle rivalità sociali la parte migliore della seconda stagione di Warrior. Jonathan Tropper, già co-creatore di una delle serie più belle del nuovo millennio, Banshee (omaggiata anche con un locale che ne porta il nome e con la presenza nel cast di Hoon Lee nei panni di Wang Chao), sa fare bene tre cose: produrre serie adulte con dosi industriali di sesso e violenza che non risultano mai eccessive o fastidiose, creare protagonisti di villain solitari che sono anche guerrieri tormentati con un proprio codice morale, e raccontare il lato oscuro dell’America razzista.

Gli operai e dei sindacalisti irlandesi che inveiscono contro i cinesi usurpatori e programmano rivendicazioni violente ma che non hanno la consapevolezza e il coraggio sufficienti per ribellarsi ai veri responsabili della loro povertà (gli industriali che assoldano i cinesi) costituiscono un organismo a sé. Si muovono in massa e la loro rabbia culmina in un linciaggio raccapricciante e folle che costituisce il climax di questa seconda stagione conferendo a Warrior lo statuto di impietoso ritratto sociale.

Molto più che una semplice serie action, quindi, Warrior è anche una serie con una forte voce femminile. La spietata Mai Ling, assetata di potere, piena di livore nei confronti degli uomini che l’hanno dominata e per questo in grado di arrivare a sabotare la propria gente; Ah Toy, la madame del bordello cinese che salva le prostitute sfruttate dalle altre case di piacere a colpi di sciabola; la coraggiosa e passionale Rosalita, boss dei match clandestini; Penny, la moglie del sindaco disposta a tutto per salvare la fabbrica del padre che dimostra mirabili doti imprenditoriali e Nellie, la ricca vedova che non si vergogna a descrivere le perversioni del defunto marito pedofilo e si addentra coraggiosamente nelle case chiuse di Chinatown per salvare le minorenne stuprate dai bianchi.

Sono tutte figure emancipate che nella loro epoca riescono a raggiungere un’indipendenza impensabile per il proprio sesso senza rinunciare alla propria femminilità. Alcune di loro si decorano con trucco pesante, vistosi gioielli e abiti eccentrici come se indossassero una maschera di guerra. Una menzione va anche infatti, alla ottima confezione di Warrior: dai costumi originali e pittoreschi alle scenografie suggestive e sporche, specialmente quelle che riproducono Chinatown passando per le musiche, che nei titoli di coda diventano orecchiabili tracce hip hop e rap contemporanee.

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[Fonte Wired.it]