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giovedì, Dic 19

Watchmen ha tradito il fumetto e si è rivelata una delle migliori serie di sempre


Sterzando bruscamente sulla storia americana del ‘900 sulla vessazione degli afroamericani e sulla dinamiche di potere, Watchmen è diventata un’altra cosa e bellissima

Che Hbo decida di continuare Watchmen o di lasciarlo così, chiuso nella sua unica stagione con un buon finale dotato di una domanda aperta a cui sarebbe un peccato rispondere, non cambia il risultato che hanno raggiunto. In nove episodi, in Italia su Sky e NowTv, Damon Lindelof e il suo team di sceneggiatori e registi hanno creato un seguito impossibile al Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons, ne hanno fatto un racconto completamente diverso e tradendo tutti i temi principali del fumetto sono riusciti ad essergli estremamente fedeli. Hanno rinunciato a quasi tutti i personaggi storici (solo Ozymandias è quello che era, gli altri che troviamo o sono cambiati o sono reincarnazioni come Wade Tillman che praticamente è Rorschach) e lavorato quasi unicamente su dr. Manhattan, trasformando la sua assenza in presenza, tramutandolo nella metafora di un Dio distante e fallibile.

Non tutto è impeccabile nella serie e specie nelle prime puntate fa molta fatica ad introdurre questo mondo che è sia deformato dall’aver ospitato eroi mascherati, sia cambiato dalla diversa storia che il suo ‘900 ha avuto. Quando tuttavia riesce ad illustrarlo e comincia a muovere i misteri delle storie dei suoi personaggi si capisce che il consueto gioco di nascondimenti, ombre e narrazione intrecciata di Lindelof non serviva a coprire un vuoto pneumatico ma anzi una serie di idee clamorose. Perché questa è la maniera in cui Lindelof comunica, ponendo due nuove domande ogni volta che fornisce una risposta, e in questo modo stimolando lo spettatore a riflettere anch’egli su cosa stia vedendo (per questo per lui funziona meglio la distribuzione ad un episodio la settimana e non quella in blocco).

Perché la trama di Watchmen, come avviene in ogni racconto che si rispetti, è solo artificialmente misteriosa, in realtà se raccontata dall’inizio alla fine, cronologicamente, è molto semplice. Dove sia finito Ozymandias, cosa abbia deciso il Dr Manhattan e quale sia la storia della famiglia di Angela Abar sono processi abbastanza lineari che la serie ingarbuglia e racconta con continui avanti e indietro nel tempo non solo per avvincere il pubblico ma anche per cercare di fare in modo che questi eventi dicano qualcosa di più. Serve infatti che scopriamo assieme a lei i legami con suo nonno in un episodio di soli flashback, per poter capire che lei incarna la consapevolezza della storia dei maltrattamenti agli afroamericani. Solo così questo Watchmen può raccontare qualcosa di radicalmente diverso dal fumetto, la storia della rivincita razziale e della maniera in cui è stato sventato una specie di colpo di stato mondiale (la creazione di un supereroe che non sarebbe stato molto eroico, una donna che avrebbe assunto un potere che bramava troppo per poterlo usare con giudizio).

Già Zack Snyder con la quella clamorosa sequenza introduttiva aveva capito che il grande potenziale di un adattamento audiovisivo di Watchmen sta nella maniera in cui la controstoria americana riesca a spiegare lo spirito di quella nazione, commentarlo, criticarlo. Ora Lindelof procede nello stesso solco per parlare della storia del razzismo e quindi del potere. Usa la maschera e la domanda “chi controlla i controllori?” per dire qualcosa di universale, ovvero che le maschere rendono violenti, peggiorano l’uomo, e svincolano l’identità della persona dalle sue azioni, ma poi usa un tema ancora più grande, introdotto in questo film, cioè “chi meriti un potere” per parlare di Stati Uniti e della sua storia di sangue che non finisce oggi.

L’attacco del primo episodio con la strage di Tulsa sembra fasullo, la tipica creazione di un universo a fumetti, invece è un fatto vero. Il razzismo che striscia e l’uso che viene fatto delle immagini del passato (come la maschera di Rorschach) cambiandone il senso originale è una tipica dinamica americana, come tipico è il ricorso alla violenza e la passione per le soluzioni massimaliste. Per risolvere i problemi del mondo Ozymandias fa una strage e poi continua a barare per convincere il pianeta dell’esistenza degli alieni. Per fare di meglio Lady Trieu è pronta a sperimentare su di sé il potere di dr. Manhattan per dare un colpo di spugna a tutto. La storia americana e la passione per la soluzione ardita a problemi da loro stessi creati sta anche nell’esilio incredibile (e autoinflitto di Ozymandias), sta nei poliziotti mascherati costantemente e nell’uso di Dr Manhattan per vincere la guerra. Alla fine un’incursione aerea speculare a quella mostrata inizialmente spazzerà via i suprematisti bianchi.

Possiamo facilmente dire che una buona fetta della nuova serialità statunitense non faccia che parlare di potere. Sotto mille diverse metafore, sotto mille spoglie e in diversi abiti (siano quelli ordinari dei Soprano che quelli medievali di Il trono di Spade che quelli istituzionali di House Of Cards) e anche Watchmen alla fine ha fatto un racconto ingarbugliato ad arte ed estremamente appassionante delle dinamiche di potere che hanno schiacciato e schiacciano gli afroamericani, della sete che esiste dietro questo potere e del desiderio di conquista. Una delle immagini migliori in questo senso è il Vietnam alternativo, totalmente americanizzato a forza, in cui dr. Manhattan è venerato anche se è l’essere che li ha annientati e colonizzati (poi pentendosene), un Dio che spaventa e la cui effige è ovunque ma segretamente odiato e disprezzato. Lui ha rinunciato al suo potere per vivere una vita migliore, altri lo desiderano, altri ancora non lo vorrebbero ma forse lo hanno acquisito. Di certo, come viene detto nel finale, “nessuno che desideri così tanto il potere dovrebbe mai averlo”.

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