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sabato, Feb 25

We Have a Ghost è un fantasmagorico pasticcio



Da Wired.it :

Il capitolo finale, murder mystery dedicato alle indagini di Kevin – e della sua intelligentissima vicina di casa – sul passato traumatico di Ernest prendono le distanze sia dalla teen comedy che da quella familiare per ricostruire una storia triste e dolorosa, crudele e ingiusta illustrata come una puntata di Storie criminali. Questa piega mortifera è la più spiazzante, e viene da chiedersi perché Landon abbia voluto dare al film un taglio tanto cupo per farlo poi culminare in un addio strappalacrime e ridicolo. We Have a Ghost inizia come Beetlejuice, procede come Ghostbusters**, si inoltra del true crime e alla fine rifà** Ghost. Non è comico, triste, commovente, dark, pauroso ma tutte queste cose assieme in modo disarticolato e per nulla coeso, con cambiamenti repentinial limite della bipolarità psichiatrica.

We Have a Ghost è, in breve, un gran pasticcio da più di due ore: parte come una commedia per poi assumere toni opprimenti e dark; inizialmente punta a un pubblico familiare, poi teen, poi adulto e infine… si rivolge a chiunque abbia la fissa sui true crime di su Real Time. Il fantasma di Harbour, solo, immemore, incapace di parlare, tradito in vita e sfruttato da morto è una delle figure più tristi della libreria di Netflix e il look col riportino affibbiato all’attore priva il film di un punto di forza (sì, il fascino di David per noi è incentivo). Criminalmente poco sfruttato, è la vera vittima del film. Il capitolo riservato ai tentativi di papà Frank di monetizzare la presenza di un fantasma in soffitta sui social e in tv resta la parte più indigesta ma anche la più incisiva ma viene abbandonata troppo in fretta per innescare seriamente un discorso sullo sfruttamento dei social e la visibilità occasionale. 



[Fonte Wired.it]