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lunedì, Ago 12

Wu Assassins: il “piccolo” guaio a Chinatown di Netflix non convince


La serie che vuole rifarsi agli action flick asiatici – ma senza riuscirci – con l’esperto di arti marziali Iko Uwais del cult action The Raid nei panni di un cuoco dai poteri mistici.

Wu Assassins, la serie originale Netflix reperibile dall’8 agosto sulla piattaforma digitale, è un action declinato nel fantasy incentrato sui mistici poteri di un cuoco esperto di arti marziali che riceve il misterioso potere del Wu Xing.

Con queste premesse, chiunque coltivi la passione per i gloriosi wu xia pian (i film di cappa e spada cinesi) e i film d’azione dove si menano a colpi di kung fu) prodotti da Hong Kong prima del 1997) si sente già emozionato, tanto più che il protagonista è l’indonesiano Iko Uwais, attore e ottimo coreografo di sequenze di combattimento visto nei due cult come Raid e Raid 2. La prima sequenza di Wu Assassins fa subito onore al genere con una scazzottata in corridoio entusiasmante, tuttavia il resto della prima stagione è deludente, almeno per i più che si aspettavano una serie in grado di emulare i fasti asiatici.

La trama

Facciamo un passo indietro: Kai Jin è uno chef di San Francisco immigrato da ragazzino in America e cresciuto sotto l’egida di Uncle Six (Byron Mann, il mitico Ryu di Street Fighter), un boss delle Triadi.

Sogna di coltivarsi una carriera da freelance dello street food con un chiosco, rigare dritto e tenersi lontano dal mondo della criminalità e dai guai in cui cerca regolarmente di cacciarlo l’amico d’infanzia Lu Xin. Kai è anche corteggiato dalla bella Jenny (Li Jun Li) che lo vorrebbe come chef del suo ristorante.

Tutti i suoi dilemmi passano in secondo piano quando la melliflua Ying Ying gli rivela di essere il depositario del fantomatico potere del Wu Xing (ispirato alla dottrina cinese dei cinque elementi insegnata dal filosofo Chou Yen): la sua missione è quella di uccidere gli uomini e le donne che governano gli elementi di acqua, fuoco, terra e metallo, privandoli e riappropriandosi del loro potere. Kai è riluttante alla prospettiva di diventare un omicida, in particolar modo perché a controllare l’elemento del fuoco è una persona a lui cara e perché teme il coinvolgimento dei suoi amici Lu Xin, Jenny, Tommy e la tostissima poliziotta sotto copertura CG (Katheryn Winnick, la mitica Lagertha di Vikings).

La recensione

Wu Assassins stride da subito: la trama è sconclusionata, le motivazioni dei personaggi inconsistenti, i dialoghi banali. Per giustificare che Uwais non sembri affatto cinese il suo personaggio viene descritto come per metà indonesiano, ma la spiegazione è forzata e tagliata a colpi d’accetta.

Curiosamente, le premesse evocano un’altra serie recentissima, Warrior (questa però è ambientata nel 1870, non ai giorni nostri): sia Kai che e Ah Sahm sono immigrati talentuosi nelle arti marziali che sbarcano a San Francisco e si ritrovano invischiati con le Triadi locali, tuttavia a Wu Assassins manca la cura nella fattura (dalla regia, alle scenografie e alla fotografia) di Warrior. La serie Netflix incrocia situazioni alla Grosso guaio a Chinatown – con un elemento fantasy che si affida a effetti speciali grossolani – con la parabola del Prescelto riluttante già calcata da Netflix con Iron Fist (serie sminuita, a differenza di Wu Assassins, dal fatto che Finn Jones sia un principiante nelle arti marziali).

Iko Uwais, probabilmente svantaggiato dalle difficoltà con la lingua inglese, perde molta parte del carisma che gli serve per reggere sulle spalle lo show, restando tuttavia una meraviglia da guardare nelle coreografie di combattimento. Queste ultime sono la parte migliore dei dieci episodi che compongono la prima stagione (a cui Netflix vuole dare palesemente un seguito) non solo per i meriti artistici di Iko ma anche per quello dei suoi comprimari: da Lu Xin (Lewis Tan, visto in Iron Fist e Into the Badlands) a Uncle Six passando per le letali Jenny, CG e Zan, ognuno ha il suo stile di combattimento personale. Se ci fossero state più scene di arti marziali, sarebbe stato meglio.

Gli aspetti da salvare e gli errori

A proposito delle tre figure femminili principali (in una particina c’è anche Summer Glau, un’indiscussa icona del piccolo schermo per gli amanti delle “donne che menano” grazie a Firefly e The Sarah Connor Chronicles), sono tutte guerriere formidabili e indomabili, l’altra cosa migliore di Wu Assassins. Meno riusciti i villain – Uncle Six e il mafioso scozzese Alec McCullough, (il sempre affascinante Tommy Flanagan di Sons of Anarchy): specialmente quest’ultimo, motivato dal solito tragico passato che lo spinge alla più turpi azioni in nome di una redenzione impossibile. Il suo flashback – ogni personaggio legato al Wu Xing ne è protagonista, a volte per un intero episodio – ambientato nelle highland scozzesi è il primo di una lunga e annacquata spiegazione che poteva essere risolta con un terzo del tempo filmico.

Tirando le somme, più che una produzione originale Netflix Wu Assassins sembra la versione seriale di uno straight-to-videodi quelli sfornati annualmente da Steven Seagal o da qualche ex wrestler come The Miz o John Cena che si è riciclato star dei film d’azione: un innocuo intrattenimento action senza troppe pretese, da prendere così per non trovarsi delusi.

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