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Le prime puntate si succedono infatti a una velocità straniante per chi è abituato ai lunghi archi a fumetti o alla narrazione più dettagliata dei film. Nell’arco di una puntata, si presentano e si risolvono situazioni che sintetizzano intere saghe: chi ha letto le storie degli X-Men degli ultimi 30 anni riconoscerà gli accenni a Inferno, alla saga di Madelyn Pryor, alle convolute vicissitudini del tecnovirus di Nathan Grey e al suo viaggio nel futuro. Tutto a malapena accennato o risolto frettolosamente, tanto da lasciare inizialmente stupiti – se non addirittura con l’amaro in bocca. Ma come, liquidare così tutta la faccenda della Regina dei Goblin e dell’invasione demoniaca?

Il segreto (o meglio, i segreti) del successo di X-Men ’97

Andando avanti, però, diviene pian piano evidente che proprio la rapida successione di momenti epici, colpi di scena e cambiamenti epocali è il punto di forza di X-Men ‘97. Che marcia a ritmo alternato, con alcuni passi falsi, sino a una metà stagione da applausi, con un episodio centrale ambientato a Genosha che rappresenta il vero fulcro della narrazione (accompagnato da una colonna sonora eccezionale). Da lì in poi non c’è quasi più spazio per filler o personaggi secondari, e la serie riesce a concentrarci sui suoi due filoni principali: la persecuzione dei mutanti da parte degli umani, e la contrapposizione tra il sogno di Xavier e l’ira (mai così giustificata) di Magneto.

Si è detto che il successo di X-Men ‘97 sia legato alla sua capacità di affrontare temi adulti. Questa è solo una parte della spiegazione. Certamente i temi e le scene mostrate in X-Men ’97 risuonano con un pubblico adulto, e la metafora della discriminazione funzionava negli anni ’90 così come (e forse ancor di più) nell’era Trump. Alcune scene, poi, richiamano non tanto sottilmente il movimento QAnon e l’ira che alberga nell’animo degli insospettabili vicini di casa, così come l’ipocrisia dell’alta società pronta a riconoscere i diversi o a voltar loro le spalle, in base a come gira il vento.

Ma di serie animate “da grandi” ne abbiamo viste tante, da Blue Eye Samurai ad Arkane. X-Men ‘97 aggiunge alla ricetta il ritmo senza fiato di cui sopra, tanto che i pochi episodi filler (l’escursione nel Mojoverse di Jubilee e Roberto DaCosta, e l’insopportabile pasticcio sovrannaturale di Storm e Forge) risultanto insostenibili, esasperanti interruzioni – con tutta la buona volontà per i riferimenti ai videogiochi anni ‘90 infilati nell’episodio di Mojo. Le animazioni volutamente legnose contrastano poi con gli epici momenti in cui Storm, Magneto e Marvel Girl scatenano i propri poteri, che apprendono qualche lezione dagli anime giapponesi, e sono forse le migliori rappresentazioni viste sinora sullo schermo della portata cataclismatica delle manifestazioni mutanti (con buona pace della CG dei film).

E proprio quando gli animatori si lasciano andare, abbandonando l’ispirazione vintage e nostalgica, come ad esempio nella svolta horror di Inferno, o nei movimenti da “pattinatori” dei combattenti più agili come Ciclope e Sinistro, che viene da chiedersi: se questo era X-Men ‘97, chissà come potrebbe essere un X-Men 2025 privo dei vincoli di una nostalgia ormai superflua? Speriamo di non dover attendere altri 27 anni per scoprirlo.



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