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mercoledì, Feb 22

Zelensky: il documentario di Sean Penn sul presidente ucraino è un’occasione mancata



Da Wired.it :

Premessa: le aspettative per Superpower erano alte, altissime. Un attore patriottico come Sean Penn alle prese con un documentario su un altro attore patriottico come Volodymyr Zelensky. L’occasione di raccontare che cosa significhi, da pari a pari, quando la guerra irrompe nella vita di chi ha dedicato anni allo spettacolo per poi passare alla politica. Poteva uscirne un curioso dialogo a due voci sul rapporto tra politica e arte, tra finzione e realtà, o quantomeno un racconto multidimensionale e multistratificato di una vicenda allarmante, ma soprattutto complessa, come la guerra in Ucraina. Nulla di tutto questo: Superpower, appena presentato in anteprima alla 72a Berlinale, è un’opera agiografica che mira a sottolineare al mondo l’eroismo del Presidente dell’Ucraina, di cui Sean Penn è non solo estimatore e amico, ma fondamentale veicolo di comunicazione (anche a livello politico e diplomatico). 

E’ anche, curiosamente, un film su Sean Penn stesso, che si fa inquadrare in ogni modo possibile e immaginabile. Non è solo il regista (con Aaron Kafman) e Caronte di quest’avventura nel cuore devastato dell’Ucraina, è al contempo intervistato che intervistatore, esperto di politica internazionale e sperduto spettatore di ciò che accade con il cuore gonfio di commozione per i crimini di guerra. Lo vediamo indossare giubotti antiproiettile e elmetto militare in una scena, in un’altra abiti eleganti di fronte all’ennesimo bicchiere. Perché nel suo documentario beve e fuma senza sosta Penn, per inciso. Parla con chiunque (soldati, ministri, presidenti, persone comune, vittime dei bombardamenti, giornalisti, esperti di politica internazionale, attrici), va dovunque (in Ucraina, soprattutto) e a bordo di qualunque mezzo (ora il van privato da divo, ora in un camion in cui stretto in jeans e cappellino siede per terra). 

Salvando le evidenti buone intenzioni alla base di un artista sinceramente scioccato dal conflitto e desideroso di farsi portavoce di quella che ritiene non solo una guerra ingiusta, ma un attacco alla democrazia mondiale, Penn finisce per firmare un documentario narcisistico e retorico che lo vede continuamente protagonista. Non che non offra comunque spunti interessanti di riflessione, o che non sia una visione godibile, ma alla lunga l’insistenza su quanto sia urgente sostenere oggi gli eroici ucraini guidati dal loro supereroe rischia non solo di stancare, ma di ottenere l’effetto opposto: non una sensibilizzazione utile a spostare gli ultimi indecisi dalla parte di Zelensky, ma lo sfiancamento di un’esagerata agiografia da parte di un fan al suo amico. Un amico speciale che si batte per il suo Paese, un uomo del popolo che il giorno del suo insediamento ha detto “Oggi ognuno di noi è Presidente”.

Questo, sia chiaro, è solo il nostro giudizio sul documentario, non su Sean Penn e sulla sua operazione di per sé lodevole e interessante quanto pericolosa, tanto meno sulla guerra che sta devastando l’Ucraina già da un anno. Purtroppo però il risultato di questa operazione delude ogni aspettativa e si attesta al livello della discutibile trovata che vediamo nel film quando Penn porta al cinema un pilota ucraino a vedere Top Gun: Maverick per poi farlo parlare al telefono con Miles Teller. Il glamour hollywoodiano lo abbandona mai, neanche quando intervista gli inviati di guerra in un lussuoso ristorante, o quando mostra il suo volto emaciato con la camicia (di marca) e una serie di costosi bicchieri davanti a lui. È il caso di una star che scende in campo per farsi testimonial: non è in dubbio la “buona causa” che c’è dietro, ma la qualità di un’opera che, poco ma sicuro, sarà oggetto di grande dibattito. Anche per questo, per fortuna, esistono i festival di cinema.



[Fonte Wired.it]