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Ci sono le ennesime tensioni tra il governo dell’est della Libia e quello di Tripoli, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, dietro l’impennata del prezzo del petrolio dello scorso 26 agosto. Come sottolinea Il Foglio, il primo ministro dell’esecutivo della parte orientale del paese Osama Hamad ha infatti annunciato il blocco della produzione e dell’esportazione di greggio su e da tutto il territorio nazionale, reagendo così alla rimozione di Siddiq Kabir dal ruolo di governatore della Banca centrale libica da parte del premier tripolino Abdelhamid Dabaiba.

Quest’ultimo aveva in precedenza accusato proprio Kabir di corruzione. Nel corso dell’ultimo anno, il governatore era infatti stato molto propenso a elargire denaro a scapito dello stesso Dadaiba al generale della Cirenaica Khalifa Haftar, il leader a cui direttamente rispondono Hamad e il suo governo. Senza una nuova apertura in questo senso, Haftar è pronto a “non permettere a nessuno di prendere il controllo della Banca centrale”.

I riflessi sulle materie prime

Se da un lato i servizi essenziali dell’istituto sono dunque sospesi e stanno mettendo in difficoltà il popolo libico, dall’altro il blocco della produzione di petrolio potrebbe mettere in crisi diverse potenze mondiali. Il 26 agosto il prezzo del Brent (la tipologia di petrolio più commercializzata al mondo) ha subito un aumento del 3%, assestandosi intorno agli 81 dollari al barile. Eventuali nuovi rialzi peserebbero direttamente sulle casse del nostro paese, il primo importatore globale del greggio libico, ma anche di Spagna, Grecia e Francia che, insieme all’Italia, fanno proprio annualmente più della metà del petrolio esportato dalla Libia.

Se la National oil corporation (Noc), la compagnia petrolifera nazionale della Libia, non si è ancora espressa ufficialmente sul blocco, alcuni impianti estrattivi (come per esempio quelli di Sirte e Waha) hanno invece confermato la riduzione della produzione. L’amministratore delegato della Noc Farhat Bengdara è d’altronde considerato molto vicino a Haftar. Non è un caso che sia stato infatti proprio il governo dell’est ad annunciare il blocco petrolifero per “cause di forza maggiore”, che presupporrebbero problemi tecnici in realtà non evidenziatisi.



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