Belém, Brasile – I lavori della Cop30 sono ufficialmente partiti a Belém, in Amazzonia, e i rappresentanti delle multinazionali del fossile si aggirano tra i padiglioni dell’evento climatico dell’anno. Al contrario, la stampa statunitense ha scelto di disertare in massa la conferenza delle Nazioni Unite. Non solo. Le multinazionali del fossile sono più ringalluzzite che mai grazie all’aria che tira. Al punto da decidere di cambiare narrazione, abbandonando ogni ipocrisia.
La disinformazione in aumento, il rapporto di Influence Map
Altro che lotta contro il riscaldamento globale e o contro il greenwashing. Secondo un rapporto di InfluenceMap, un think tank indipendente, le società dell’oil&gas e le loro associazioni di categoria nell’ultimo anno avrebbero aumentato i tentativi di disinformazione climatica rispetto ai dodici mesi precedenti. In particolare, il documento parla di “narrazioni fuorvianti sulla transizione energetica” e spiega meglio il ruolo delle associazioni di categoria, che “restano il mezzo primario tramite cui l’industria delle fonti fossili amplifica i propri messaggi, proponendoli in maniera più efficace rispetto alle singole società. E coordinando gli sforzi a livello globale”.
Il punto più interessante, però, è un altro: nell’ultimo anno si è rinunciato a enfatizzare limitazioni e incertezze – luoghi comuni come “sono intermittenti” o “non basteranno mai” – legate al mondo delle energie rinnovabili: insomma, la strategia del dubbio ben nota nel mondo ambientalista fa parte del passato.
Oggi, notano i ricercatori, il messaggio è un altro e molto più esplicito. Si è “capitalizzato il momento politico – si legge – per argomentare falsamente che le fonti fossili sono una parte necessaria del mix energetico” della transizione. Il che può non essere del tutto sbagliato dal punto di vista tecnico: il problema, ovviamente, sono le proporzioni. E così, nei dodici mesi trascorsi tra Baku e Belém, si è tornati a enfatizzare il ruolo del gas in termini di convenienza e sicurezza energetica.
3 narrazioni principali
L’analisi di InfluenceMap individua tre pattern principali nella narrazione fatta dai giganti delle fonti fossili. La prima è lo scetticismo sulle soluzioni alternative, che minimizza l’impatto e la fattibilità delle nuove forme di produzione dell’energia. Segue la cosiddetta neutralità tecnologica, che mette l’accento sulla libertà di scelta dei consumatori, sulle soluzioni di mercato e spinge per interventi dei governi ridotti ai minimi termini. Ma il consumatore, di solito, è poco informato, se si escludono minoranze ristrette e culturalmente avvantaggiate: si trova, quindi, alla mercé della migliore campagna pubblicitaria – o di quella pagata da chi può permettersi di spendere di più. Alle big oil le disponibilità economiche non mancano. La terza strada è puntare su convenienza e sicurezza energetica. In questo caso sarebbero le energie alternative il rischio, non viceversa.
L’assenza dei mezzi d’informazione statunitensi
Lo studio conclude con un riferimento alle società dell’oil&gas che operano in Amazzonia: se da una parte, nei mesi prima della Cop30, proponevano una comunicazione conciliante su stampa e web, dall’altra, nello stesso periodo, avrebbero aumentato come non mai la potenza delle attività di lobby sui decisori. Pressioni che sul governo brasiliano hanno avuto un certo effetto, dal momento che poche settimane fa il presidente Lula ha autorizzato nuove trivellazioni proprio nella regione amazzonica, attirandosi parecchie critiche, soprattutto dall’estero.



