Quando guardiamo una maglia di Serie A oggi, è difficile ricordarsi com’era il calcio prima. Via le scritte di bookmaker e casinò online, dentro una nuova fauna di loghi: exchange appena nati, piattaforme di trading esotiche, progetti di cripto dal nome iper-tecnologico. In questa transizione dalle scommesse alle criptovalute, almeno sette club di Serie A hanno ormai accordi con undici sponsor legati a trading e cripto, spesso nemmeno autorizzati in Europa.
Non è solo questione di patch sulla maglia. In pochi anni la Serie A ha incassato qualcosa come 180 milioni di euro in sponsorizzazioni crypto, che arrivano a circa 250 milioni se includiamo fan token e partnership varie: più del doppio rispetto a quanto arrivava dal mondo delle scommesse prima del 2019.
È un salto di scala economico, ma soprattutto simbolico: il calcio diventa vetrina per una finanza ancora instabile, spesso opaca e affamata di onboarding di massa, che cerca legittimazione popolare. Il fronte più visibile sono i fan token. Wired li ha raccontati come “utility token”: gettoni digitali che promettono ai tifosi sconti, voting rights sulle maglie, sul pullman della squadra o sulla canzone dopo il gol, esperienze esclusive e così via.
La tecnologia è quella di Socios.com e dell’ecosistema Chiliz, che oggi lavora con oltre 90 club e organizzazioni sportive, dalla Juventus all’Inter, dal Milan alla Roma, fino alla Nazionale. Funziona così: il club lancia il suo token, lo vende ai tifosi in una sorta di Ipo gamificata e incassa subito. Poi il token fluttua sul mercato, spesso con capitalizzazioni a decine di milioni di dollari (il PSG, il Manchester City, l’Atlético Madrid sono in cima alla classifica) finché l’interesse regge. Intanto arrivano altre partnership, dagli NFT della Coppa Italia con Crypto.com alla sponsorizzazione del VAR di Serie A, anch’essa a marchio crypto.
Un’analisi monetaria
Tutto molto innovativo. Ma se usiamo la vecchia lente dell’economia monetaria, qualcosa non torna. A lezione, quando spieghiamo cos’è il denaro, ci affidiamo a tre funzioni: mezzo di scambio, unità di conto, riserva di valore. Per ora, le cripto nel calcio non centrano davvero nessuna delle tre.
Come mezzo di scambio, le criptovalute restano marginali. Qualche esperimento c’è: bonus pagati in bitcoin, calciatori acquistati con cripto, club minori che trasformano la tesoreria in wallet. Ma biglietti, abbonamenti, diritti tv, stipendi: tutto continua a viaggiare in euro, sterline, dollari. La cripto è più un gadget di branding che il carburante quotidiano dello sport.
Come unità di conto, siamo ancora più lontani. I bilanci sono scritti in valuta fiat, non in fan token. Nessun CDA discute se il fair play finanziario sia sostenibile in “$JUV” o “$LAZ” invece che in euro. I gettoni digitali servono a classificare l’engagement, non a misurare il valore economico.



