“Fin da quando ero molto giovane ho sempre sognato di lasciare Gaza – racconta la figlia -. Troppo piccola per i miei sogni e le mie ambizioni, Gaza è un luogo annientato dalla depressione, dove è tutto è precario, e dove è difficile mantenere un equilibrio dal momento che si viene privati fin dalla nascita dei diritti basilari, come sicurezza e stabilità”. Il padre, invece, non si è mai arreso, almeno finora: “Ho avuto molte occasioni per lasciare Gaza, ma il dovere che sento verso la mia patria, la Palestina, e l’attaccamento che nutro verso questa terra dilaniata mi ha sempre fatto sperare in un futuro diverso per la mia famiglia”.
Maisara Baroud ha 48 anni, è un artista riconosciuto e una persona colta e istruita: si è laureato all’Accademia d’Arte presso l’An-Najah National University di Nablus e, poi, al College of Fine Arts al Cairo consegue un master. Prima del 9 ottobre, quando la famiglia ha dovuto lasciare per sempre la propria casa, era un docente all’Al-Aqsa University di Gaza: “A dispetto della difficile situazione nella Striscia ho sempre voluto vivere a Gaza, dove esistevano delle strutture educative, sanitarie e di svago, e dove ci sono persone che amano vivere. Tuttavia, gli ostacoli posti dall’occupazione israeliana impediscono ai gazawi di vedere riconosciuti i propri successi, togliendoci ogni speranza nel futuro”.
Rita e Maisara BaroudRita Maisara
Arte come denuncia
La famiglia Baroud viveva in un appartamento della Al-Watan Tower, l’edificio di dodici piani dove avevano sede l’Associated Press e Al Jazeera, crollato dopo un bombardamento l’8 ottobre 2023. “Là avevo anche il mio studio – racconta Maisara -. Ora ho perso tutto il mio lavoro, il mio archivio, centinaia di libri. Ora la mia famiglia è esausta. Siamo circondati dalla distruzione, non intravediamo un orizzonte, non riusciamo più sopportare questa situazione, siamo costretti a cercare un luogo dove i miei figli possano vivere in pace e sicurezza”.
Maisara Baroud continua a disegnare con carta e inchiostro nero “per preservare la sola routine rimasta nella mia vita dopo il 7 ottobre, l’unica salvezza per il mio equilibrio e con la quale posso dimostrare che nemmeno la guerra potrà impossessarsi della passione che ho per l’arte”. Una testimonianza arrivata a Venezia grazie al Palestinian Art Museum Us con le settanta tavole di I’m still alive che raccontano la distruzione, la paura di un’umanità indifesa che vive e lotta per non soccombere all’inferno sulla terra.
“Gaza, è un luogo che non offre nulla tranne che una lenta e inesorabile morte”, racconta Rita. “Dopo il 7 ottobre – fa seguito il padre – a Gaza sei fortunato se sei vivo perché, semplicemente, hai solo un’altra possibilità di sopravvivere alla morte imminente”. Lo rassicura Rita: “Sono certa che lascerò queste rovine un giorno e che riuscirò a costruire una vita migliore in un altro luogo, dove non ci sono massacri, morte e insicurezza”.
Intanto il valico di Rafah, che collega la Striscia di Gaza con l’Egitto, è chiuso dopo che Israele ne ha preso il controllo dall’inizio del maggio scorso. L’egiziana Hala Consulting and Tourism Services, una società controllata dall’imprenditore Ibrahim Organi, che, come ha svelato la testata Middle East Eye, ha stretti legami con i servizi segreti del presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, è di fatto l’unico ente che gestisce i pagamenti legati ai lasciapassare per i palestinesi che vogliono fuggire dai 360 chilometri quadrati di questa prigione a cielo aperto. Attualmente, sono necessari dai 2.500 ai 5.000 dollari a persona e, dall’inizio della guerra, si moltiplicano le collette online per supportare le spese di chi ha deciso di andarsene. Molti desistono, visti i prezzi. Un’inchiesta della sezione Data and Forensics di Sky News ha denunciato la gestione in regime di monopolio da parte di Hala, che lucrando sul dolore dei palestinesi in cerca di un paese sicuro dove vivere, arriva a incassare anche più di un milione di dollari al giorno.





