“In apparenza sembra una vittoria per l’industria dell’AI – osserva Matthew Sag –. Tuttavia, il tribunale prende molto sul serio l’idea che i modelli di AI addestrati sui libri dei querelanti possano ‘inondare il mercato con quantità infinite di immagini, canzoni, articoli, libri e altro ancora’, danneggiando così il mercato delle opere originali. Probabilmente [il giudice Chhabria] prende la cosa più seriamente di quanto non abbiano fatto i querelanti, che non hanno presentato alcuna prova in merito. Non ho mai visto una sentenza in cui un giudice si sia lamentato dell’incapacità dei querelanti di argomentare il loro caso“.
Le reazioni
“La corte ha stabilito che le aziende di AI che ‘alimentano i loro modelli con opere protette dal diritto d’autore senza ottenere l’autorizzazione dai titolari del copyright o senza pagarle’ stanno generalmente violando la legge“, ha dichiarato in un comunicato lo studio legale Boies Schiller Flexner, che rappresenta i querelanti –. Eppure, nonostante gli innegabili trascorsi di Meta sulla pirateria, che non hanno precedenti, il tribunale si è pronunciato a favore dell’azienda. Siamo rispettosamente in disaccordo con questa conclusione“.
Meta è apparsa più soddisfatta della sentenza. “Apprezziamo la decisione odierna della Corte – ha dichiarato il portavoce Thomas Richards in un comunicato –. I modelli AI open source sono alla base di innovazioni trasformative, produttività e creatività per individui e aziende, e il fair use del materiale protetto da copyright rappresenta un quadro giuridico vitale per lo sviluppo di questa tecnologia trasformativa“.
L’esito della causa è stato commentato anche dai querelanti impegnati in altre cause legate all’AI. “Siamo delusi dalla decisione, ma solo in parte”, afferma Mary Rasenberger, amministratrice delegata della storica associazione di scrittori Author’s Guild, che ha fatto a sua volta causa a OpenAI per violazione del diritto d’autore..
“Nel grande schema delle cose, le conseguenze di questa sentenza sono limitate. Dal momento che non si tratta di una class action, la decisione incide solo sui diritti di questi 13 autori e non su quelli di innumerevoli altre persone le cui opere sono state utilizzate da Meta per addestrare i suoi modelli – ha scritto Chhabria –. E, come dovrebbe essere ormai chiaro, questa sentenza non conferma che l’uso da parte di Meta di materiali protetti da copyright per addestrare i suoi modelli linguistici sia legittimo“.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.