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E così il Britpop esce dalla musica per riversarsi nella moda, nel costume, nel calcio e nella politica. Sembra di essere nella Londra degli anni Sessanta. E Tony Blair, numero uno del Partito Laburista, cavalca l’onda per attrarre i giovani elettori: è presente a tutti i premi, anche i Brit Awards dove premia David Bowie. Tony Blair viene eletto Premier nel 1997: proprio l’anno in cui il Britpop, ormai, è morto. Se dovessimo dare una data alla fine del Britpop potremmo scegliere un altro agosto, quello del 1997: il 21 agosto, dieci giorni prima della morte di Lady Diana, altra icona britannica, esce Be Here Now, il terzo album degli Oasis. Per tanti è una delusione: viene definito borioso, pomposo, pretenzioso. Le canzoni, alcune ottime, non diventano degli inni. Ad ascoltarlo allora, e anche adesso, non suona davvero così male. Ma in confronto al predecessore, evidentemente, non è all’altezza. Sonya Aurora Madan, la cantante degli Echobelly, ricorda che, tutto ad un tratto, un loro concerto in un’università è mezzo vuoto. Tutto si spegne all’improvviso, di colpo, senza un perché. Forse perché tutto era stato troppo pompato per non sgonfiarsi.

1997: l’album dei Blur è lontanissimo dal Britpop

L’altra data che segna la fine del Britpop, non può essere altrimenti, è legata all’altra band simbolo, i Blur: il 10 febbraio del 1997 esce Blur, il successore di The Great Escape. Ed è una svolta: di Britpop non c’è nulla. Sull’Inghilterra la band aveva detto tutto e aveva iniziato a esplorare la musica underground americana. Blur è il loro disco di maggior successo, quello di Song 2. È una svolta a 180 gradi. Quattro anni prima Damon Albarn diceva “sono qui per uccidere il grunge”. E ora fa un disco grunge. Song 2 diventa la canzone che ogni casa automobilistica usa per lanciare la sua auto, che viene usata nei videogiochi sportivi, che continua ad essere suonata alle partite di football americano. È così americana che gli anni del pop inglese, solo 3 anni dopo Parklife, sembrano lontanissimi.



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