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Ossigeno dalla regolite lunare, al via il progetto dell’Agenzia spaziale italiana

da | Giu 28, 2025 | Tecnologia


Ossigeno dalla Luna? Oggi impossibile, domani forse. Tutto grazie a un composto che, parafrasando una celebre espressione dell’astronomo e divulgatore Carl Sagan, potremmo chiamare polvere di Luna, ma che è in verità nota come regolite lunare. In generale, la regolite (termine derivante dalla fusione dei termini greci regos, ossia “tappeto” e lithos, cioè “pietra”) è l’insieme di tutti i sedimenti (polveri, sassolini, frammenti di roccia) che ricoprono lo strato più esterno dei pianeti rocciosi (tra cui la Terra), dei loro satelliti e degli asteroidi; la regolite lunare è, per l’appunto, il tipo di regolite che ricopre la superficie della Luna, diversa rispetto a quella terrestre perché il nostro satellite, non essendo dotato di atmosfera, è molto più esposto al bombardamento di asteroidi e meteoroidi. Dunque: sassi, rocce e polvere. Un materiale inservibile? Tutt’altro: l’Agenzia spaziale italiana (Asi), dopo due anni di sperimentazione, ha appena siglato un contratto industriale con Ohb Italia per sviluppare un prodotto in grado di estrarre ossigeno dalla regolite. Il che potrebbe essere molto utile, per esempio, per il supporto di future esplorazioni umane della Luna e magari anche di altri corpi celesti.

Il progetto Oracle

L’oggetto del programma, che durerà quaranta mesi, si chiama Oracle, acronimo di Oxygen Retrieval Asset for Carbothermal Lunar Extraction. L’obiettivo è di costruire un piccolo laboratorio compatto, un cubo di 50 centimetri di lato, che estrarrà gli ossidi presenti nella regolite lunare sfruttando un cosiddetto processo carbotermico. Si tratta di una reazione chimico-fisica in cui si usa il carbonio, di solito sotto forma di carbone, carbon coke o grafite, per ridurre un ossido, cioè un composto formato da un elemento e ossigeno e ottenere l’elemento più puro di ossido di carbonio (CO) o anidride carbonica (CO2) come sottoprodotto. Nel caso del suolo lunare, gli ossidi presenti nella regolite (per esempio ossido di silicio, ossido di ferro, ossidi di alluminio, etc.) contengono ossigeno legato a metalli: il processo carbotermico cerca di liberare quell’ossigeno, che poi può essere raccolto per usi futuri come la respirazione umana o la produzione di carburante per razzi. Perché ciò possa avvenire c’è bisogno di raggiungere temperature elevate in un ambiente controllato, e naturalmente c’è bisogno di avere a disposizione del carbonio. Condizioni tutto sommato semplici da soddisfare sulla Terra, ma molto più complicate su un satellite che orbita a 300mila chilometri di distanza: proprio questa è la complessità del progetto. “Portando ossidi e metano a elevate temperature – ci ha raccontato Mario Cosmo, direttore di Scienza e Innovazione all’Asi – intorno ai 1100 °C, questi reagiscono, formando ossidi di carbonio. Successivamente, in un secondo stadio, alla temperatura di circa 250 °C e in presenza di idrogeno, è possibile ottenere vapore acqueo, da far condensare poi fino alla forma liquida. Infine, in un eventuale processo completo, mediante elettrolisi si possono scindere le molecole d’acqua per ottenere ossigeno molecolare e idrogeno. Nell’ambito di Oracle, realizzeremo entro la fine del 2028 un dimostratore per validare la prima parte del processo, quella più critica e non ancora testata sulla Luna”.

La sperimentazione

La firma del progetto arriva dopo diversi anni di sperimentazione condotta da Ohb Italia con il Politenico di Milano, i cui risultati hanno mostrato le potenzialità della tecnica. Proprio con il Politecnico di Milano, infatti, l’Agenzia spaziale italiana aveva sottoscritto nel 2022 un’intesa per avviare le fasi iniziali di progettazione della tecnologia, la cui prosecuzione e finalizzazione sono oggi affidare a Ohb Italia con il contributo di altre due eccellenze italiane nel campo della ricerca e dello spazio, ossia Enea per quanto riguarda l’ingegnerizzazione del processo chimico e Kayser Italia per la fornitura dell’elettronica di controllo dell’impianto. “L’Agenzia spaziale italiana – continua Cosmo – ha avviato il progetto nel 2022, valorizzando l’attività di studio già portata avanti dal Politecnico di Milano e da Ohb Italia negli anni precedenti. La prima fase del progetto ha coinvolto il Politecnico nello studio di fattibilità iniziale e nella definizione preliminare delle caratteristiche del dimostratore, nonché nella messa a punto dei parametri termodinamici del processo, attività ancora in corso grazie all’impianto di laboratorio in cui ogni giorno viene misurata la resa del processo utilizzando simulanti di regolite lunare. Con l’avvio del contratto, lo sviluppo del dimostratore passa all’industria, che beneficerà del lavoro preparatorio per poi concludere la progettazione, passare alla realizzazione e al test dell’unità che poi opererà sulla Luna”.

Verso la Luna

Dopo la sperimentazione a terra, il dispositivo sarà poi operato durante una futura missione lunare (attualmente ancora in corso di selezione), che sarà il vero banco di prova per verificarne l’effettiva fattibilità ed efficienza nell’estrazione di ossigeno e acqua da minerali presenti sulla Luna: un traguardo fondamentale per supportare elementi umani stabili sul nostro satellite e per aprire la strada al cosiddetto approccio Isru (In Situ Resource Utilization), che prevede lo sfruttamento di risorse locali nella ricerca spaziale in modo da essere meno dipendenti dalla Terra. “Se l’efficienza del processo verrà confermata – conclude Cosmo – il processo si attesterà come uno dei candidati principali per i futuri impianti su larga scala, in grado un giorno di processare grandi quantità di regolite, immagazzinare l’ossigeno prodotto in serbatoi e rendere così sostenibili le future missioni umane sulla Luna di lungo periodo”.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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