Se è improbabile che i dazi abbiano l’effetto che Trump sostiene di cercare, un programma federale di detrazioni fiscali per chi produce film – un’iniziativa per la quale i politici californiani si spendono da anni – potrebbe rivelarsi un’alternativa molto più valida. Ma, almeno per il momento, non sembra un’opzione verso cui il presidente americano ha mostrato interesse.
Gran parte della confusione legata ai nuovi dazi proposti da Trump è dovuta alle modalità labirintiche con cui vengono realizzati i film moderni. Da anni gli studios di Hollywood girano all’estero per assicurarsi gli incentivi fiscali offerti da paesi come il Regno Unito, il Canada o l’Australia, che essenzialmente sovvenzionano l’affitto delle strutture locali e l’assunzione di troupe del posto in cambio della possibilità di fare affari. Ma anche gli effetti visivi e altri aspetti della post-produzione possono essere esternalizzati. Riportare questi lavori negli Stati Uniti sarebbe positivo per i produttori americani e le troupe, ma non ci sono chiare indicazioni sul fatto che questo sarebbe il risultato dei dazi. La conseguenza più probabile è che gli studios producano meno film o che, come già successo per altri beni, il prezzo del cinema aumenti.
In un post di lunedì su LinkedIn, l’analista cinematografico David Hancock ha scritto che è “piuttosto difficile capire cosa il governo statunitense possa effettivamente tassare“. Spesso i film sono file digitali, i cui diritti vengono generalmente suddivisi tra creatori, finanziatori e altre realtà. “Il governo degli Stati Uniti deve o vietare ai produttori statunitensi di lavorare all’estero, il che ridurrebbe significativamente il numero di film realizzati e indebolirebbe drasticamente l’industria cinematografica – ha commentato Hancock –. Oppure deve creare un sistema di detrazioni fiscali federali” per aiutare gli studios statunitensi a continuare a produrre senza che i costi schizzino alle stelle.
Sembra che l’idea dei dazi sui film sia stata almeno in parte ispirata dall’attore Jon Voight, uno dei tre “ambasciatori” di Hollywood – gli altri due sono Sylvester Stallone e Mel Gibson – scelti da Trump. Di recente Voight e il suo manager avrebbero incontrato il presidente americano a Mar-a-Lago, la residenza di Trump in Florida, per condividere una serie di proposte per la crescita della produzione cinematografica statunitense. Secondo il New York Times, il piano comprendeva incentivi fiscali, trattati di coproduzione con altri paesi, “dazi in alcune circostanze limitate” e altre strategie.
Reazioni e alternative
Dopo l’annuncio di Trump, Duncan Crabtree-Ireland, direttore esecutivo nazionale del Sag-Aftra, uno dei principali sindacati americani che rappresentano i lavoratori del mondo dell’intrattenimento, ha dichiarato di essere aperto all’idea dei dazi, ma di volerne conoscere maggiori dettagli. Anche Matthew Loeb, presidente dell’International alliance of theatrical stage employees, un sindacato che rappresenta i membri delle troupe, ha chiesto maggiori informazioni.