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Stati Uniti, perché le elezioni amministrative sono da seguire con attenzione

Stati Uniti, perché le elezioni amministrative sono da seguire con attenzione



Da Wired.it :

Queste elezioni negli Stati Uniti non sono certamente sexy come quelle nazionali, che avvengono dopo mesi e mesi di campagna elettorale, dopo discussioni accese e a volte imbarazzanti tra i due candidati. O tre. Quest’anno, infatti, uno della stirpe Kennedy si è candidato come indipendente, cosa che preoccupa sia i democratici che i repubblicani: i primi temono che con un nome come il suo, molti lo voteranno a priori, i secondi perché significa per loro avere voti in meno di chi (cosa incredibile, ma vera) non sa scegliere tra Biden e Trump.

Siccome quelle del sette novembre sono elezioni molto meno sentite, sarebbe interessante utilizzarle per capirci un po’ di più sul sistema elettorale americano, estremamente complicato, utilizzato durante le elezioni presidenziali.

I meccanismi e i numeri

Anche se questa volta ci saranno più persone che votano (Trump e Biden sono agli antipodi, e ognuno ha un’opinione diversa rispetto a entrambi), di solito i numeri sono bassi: su 240milioni di americani che hanno diritto al voto, quattro anni fa ha votato un po’ più della metà. I voti si contano in due modi: quello popolare (un voto uguale un punto) e quello del collegio elettorale, non sempre ovvio da capire. Funziona così: ogni Stato vale un certo numero di punti, e cioè la somma dei senatori (sempre due per Stato) e i rappresentanti della Camera. In totale, ci sono 538 persone che rappresentano tutti gli Stati. Per esempio, la California, che ha quasi quaranta milioni di abitanti, ha 54 elettori, mentre il Massachusetts, in cui abitano sette milioni di anime, ne ha 11. Vince la presidenza chi raggiunge almeno 270 voti elettorali, anche se non vince quello popolare.

Perché complicare così tanto? Perché, malgrado gli Stati Uniti abbiano fatto guerre a destra e a manca per portare democrazia nel mondo, non conta soltanto il voto popolare? Il motivo è storico e comprensibile: i Padri Costituenti erano preoccupati che le elezioni fossero determinate soltanto dagli Stati più grandi, mentre quelli piccolini non avrebbero avuto tanta voce in capitolo. Diciamo che la ragione principale di questo sistema elettorale, per quanto complesso, riguarda appunto la democrazia.

Un voto che conta

Benché le elezioni di questo novembre sembrino poco importanti, in realtà lo sono eccome. Si comincia dalle città, dalle regioni e dagli Stati a eleggere rappresentanti che offrano delle risoluzioni adeguate ai problemi locali: le leggi locali, l’andamento scolastico, il problema degli homeless, quello degli affitti alti, delle mense, degli aiuti sanitari, sociali, perché è proprio dalle politiche locali che si arriva a Washington. La carriera dei politici inizia così e ad ogni elezione, fanno un passo in più fino ad arrivare a essere parlamentari, senatori e senatrici. Da questo pool di persone si sceglie poi il candidato che, se vince le presidenziali, sarà la faccia dell’America sia internamente che all’estero.

Ora più che mai è importante partecipare alle elezioni statali. Prendiamo per esempio lo Stato della Florida, guidato da Ron Desantis e che sta diventando una culla medievale: sono stati bannati molti libri; è diventato addirittura difficile insegnare ai bambini la triste storia degli afroamericani: lo si deve fare in modo tale da non far sentire in colpa i bambini bianchi. L’aborto è severamente vietato dopo le prime sei settimane. Ha incorporato la legge “Don’t Say gay” che vieta di discutere di genere o di orientamento sessuale nelle scuole, legge che ha provocato una lunga battaglia legale con la Disney. Ha legalizzato di portare armi in tasca, ma che non si vedano, senza che le persone debbano richiedere il porto d’armi. Ha fatto in modo che la pena di morte sia usata più frequentemente. Ha usato i migranti provenienti dal Messico come scudi politici, mandandoli negli Stati democratici, come a dire: “visto che siete così più bravi di me, occupatevene voi”.

Insomma, una bella personcina. Fa a gara con Trump a chi è più restrittivo., Ha iniziato la sua carriera di politico a poco a poco, proprio grazie a elezioni come quelle del 7 novembre di quest’anno. Adesso è candidato alla Casa Bianca.

Gli Stati Uniti sono un Paese estremamente complesso, in parte all’avanguardia e in parte retrogrado. È importante sapere come funziona perché, volenti o nolenti, la sua influenza sull’Europa è incommensurabile e irrefrenabile.



[Fonte Wired.it]

Kim Bo-Young a Lucca Comics: “La mia sfida, essere la prima scrittrice di fantascienza in Corea del Sud”

Kim Bo-Young a Lucca Comics: “La mia sfida, essere la prima scrittrice di fantascienza in Corea del Sud”



Da Wired.it :

Oggi sono molto contenta. Sono un’autrice di bestseller molto ben accolti dal pubblico coreano!

Quali sono le sue influenze letterarie?

Purtroppo in Corea per molto tempo non sono arrivate opere di grandi autori dall’estero. Per questo solo pochi scrittori mi hanno influenzata. Direi sicuramente Herman Hesse, perché ha trattato della filosofia orientale, dell’ego, di noi stessi.

Lei ha collaborato con Bong Joon-ho alla sceneggiatura del film Snowpiercer, tratto dal fumetto. Quali differenze ci sono tra la sci-fi cinematografica e quella narrata nei libri?

Io mi sono occupata di una piccola parte della sceneggiatura. Bong mi ha detto: non pensare troppo, prova a scrivere qualsiasi cosa, liberamente. Quando ho visto il film realizzato sono rimasta sconvolta, mi sono quasi spaventata. Mi sono resa conto che, per comunicare un messaggio, noi scrittori dobbiamo raccontare moltissime cose. In un film non c’è bisogno neanche di una parola. C’è una differenza immensa tra i film e i romanzi, e la sceneggiatura è il punto di raccordo”.

Si dice che tutta la fantascienza sia arrivata a un bivio: ignorare il cambiamento climatico e raccontare un futuro remoto o fantasioso, o incorporare questo tema nella visione del futuro. Lei quale strada sceglie?

Il cambiamento climatico è un problema enorme e attuale. C’è da tanto tempo, e forse ora è già troppo tardi per affrontarlo. Si tratta del nostro passato e del nostro presente, non del futuro. Sicuramente credo che tutta la fantascienza lo tratterà molto di più”.

E l’Intelligenza Artificiale?

Credo che l’Ai sia una forma di evoluzione. Nel mondo Orientale c’è questo pensiero che nell’essere non-organico c’è vita, c’è un’anima. Il mio libro di racconti è basato proprio su questo. Quindi l’Ai., in un certo senso, non è un’idea nuova”.



[Fonte Wired.it]

Perché il cielo notturno è buio?

Perché il cielo notturno è buio?



Da Wired.it :

Nel 1823, l’astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers pose una domanda che diede del filo da torcere agli scienziati per decenni. Se l’universo è infinito, perché il cielo notturno non è illuminato? La domanda è nota ancora oggi come “paradosso di Olbers”, anche se non si tratta più di una domanda irrisolta.

Vediamo innanzitutto le basi della questione. Una stella è come una gigantesca lampada che emette luce ovunque. Il nostro Sole è una di queste. In un punto della Terra è notte se non è rivolto verso il Sole. In quel momento non vediamo la luce della nostra stella perché il corpo della Terra la nasconde. Ma se ci sono milioni e milioni di stelle e ognuna di esse è come una lampada, perché non riempiono il cielo notturno con la loro luce? Inoltre, se l’universo è infinito, allora dovrebbe accadere che, ovunque noi puntiamo, stiamo puntando una stella. Dov’è finita la loro luce?

Paradoja de OlbersKmarinas86 / CC BY-SA 3.0

Il paradosso

Il paradosso di Olbers era problematico perché, nel suo approccio, presupponeva alcune ipotesi che si sono rivelate non essere del tutto vere. La prima è l’infinità dell’universo. Ad oggi, non abbiamo prove evidenti che l’universo sia spazialmente finito. Anzi, le prove che abbiamo (anche se non sufficienti per essere sicuri) indicano che è infinito. Ma le coordinate spaziali non sono le uniche dimensioni della realtà. C’è anche il tempo e, proprio riguardo al tempo, sappiamo che l’universo è limitato, almeno nel passato. In altre parole, non è sempre esistito. Nei primi istanti dopo il Big Bang, l’universo era così denso che nemmeno i fotoni (particelle di luce) potevano propagarsi ed era quindi buio. La prima luce è stata in grado di muoversi nello spazio circa 13,7 miliardi di anni fa (ne abbiamo un’immagine eccellente: il fondo cosmico a microonde). La luce ha una velocità finita di quasi 300.000 chilometri al secondo. È molto veloce, sì, ma non è istantanea. Quando un oggetto emette luce, non illumina immediatamente l’ambiente circostante. La luce proveniente dal Sole, ad esempio, impiega circa 8 minuti per raggiungere la Terra. Quindi, sebbene l’universo sia molto affollato e spazialmente infinito, ci sono molte, moltissime stelle la cui luce non ha avuto il tempo di raggiungerci fin dall’inizio.

Ora, ci sono molte stelle che si trovano nell’intervallo spaziale sufficiente a illuminarci (o che un tempo si trovavano in tale intervallo) la cui luce, tuttavia, non possiamo vedere. Ciò è dovuto al fenomeno noto come redshift. Tutte le radiazioni elettromagnetiche, compresa la luce, si muovono in onde. Pensate alle increspature che si formano in un lago quando lanciamo un sasso: hanno ripetizioni periodiche. La distanza tra due picchi si chiama lunghezza d’onda. Se nel suo percorso la lunghezza d’onda della luce emessa da un oggetto cambia diventando più ampia (se c’è più distanza tra le creste), diciamo che c’è un redshift. Se il redshift è sufficiente, l’onda entra nello spettro dell’infrarosso e diventa invisibile. Questo perché la luce, per essere percepita, deve rientrare in un certo intervallo di lunghezze d’onda (per l’uomo, la lunghezza dell’interponte della luce deve essere compresa tra 380 e 750 nanometri). Se la luce che riempie un certo spazio è nello spettro dell’infrarosso, allora quello spazio ci sembra buio.



[Fonte Wired.it]

India, perché molte delle più importanti aziende al mondo sono guidate da persone indiane

India, perché molte delle più importanti aziende al mondo sono guidate da persone indiane



Da Wired.it :

La vasta e millenaria diaspora in India non ha mai prodotto così tanti amministratori delegati, sparsi in tutto il mondo. Da Microsoft a Google, da Ibm a Starbucks. Un fenomeno che si può far risalire ai commercianti che, già nel 19esimo secolo, lavoravano tra Caraibi, Africa orientale e sud-est asiatico. Nel secolo successivo, la manodopera indiana si riversò poi in quel Golfo persico che si era scoperto ricco di petrolio. Al tempo stesso, la classe media, forte del legame coloniale, continuò a studiare, lavorare e avviare attività nel Regno Unito. Ma è con la liberalizzazione dell’immigrazione da parte degli Stati Uniti, nel 1965, e l’abolizione delle quote per Paese d’origine, che si produsse quel flusso che ha portato la nazione a stelle e strisce a diventare la principale destinazione della diaspora indiana. E del suo successo.

Una delle storie più straordinarie di immigrazione nell’ultimo mezzo secolo, la definiva un volume uscito ormai qualche anno fa con il titolo The Other One Percent, in riferimento al fatto che le persone di origine indiana costituivano all’epoca della pubblicazione (Oxford University Press, 2016) poco più dell’1% della popolazione americana ed erano principalmente benestanti, socialmente ben inserite e laureate.

Storie di successo

A questo fenomeno, che abbraccia anche il Regno Unito per ovvie ragioni storiche, si deve una generazione oggi al vertice globale, nella politica quanto negli affari. Si va da Rishi Sunak, primo ministro britannico (sposato con Akshata Murty, nata nello stato indiano del Karnataka e figlia del fondatore del colosso dei servizi IT Infosys) il quale ha da poco nominato Claire Coutinho, nata a Londra da genitori originari di Goa, a capo del decisivo, di questi tempi, ministero dell’Energia. Hanno origini indiane anche la manager a capo di Chanel, Leena Nair, e Rajeev Suri, numero uno della Società britannica di telecomunicazioni satellitari Inmarsa.

Guardando all’altro lato dell’Atlantico, spiccano due contendenti per la nomina repubblicana alle elezioni presidenziali del 2024, Nikki Haley e Vivek Ramaswamy, ma anche la vicepresidente democratica in carica, Kamala Harris: tutti indo-americani. È nato in uno dei templi dell’It made in India, Pune, anche Ajay Banga, ex numero uno di Mastercard che il presidente Joe Biden ha candidato, con successo, alla presidenza della Banca mondiale.

Diaspora e impresa

È tuttavia nel mondo dell’impresa che, negli ultimi anni, si è assistito alla principale ascesa di amministratori delegati, direttori e fondatori di origine indiana. Come Satya Nadella, oggi alla guida di Microsoft e nato a Hyderabad (come del resto Shantanu Narayen, ad di Adobe), oppure Sundar Pichai, cresciuto a Madurai e oggi residente in California, dove ha sede Alphabet. Indiana anche Aparna Chennapragada, appena nominata da Microsoft vice presidente con un preciso mandato sull’intelligenza artificiale generativa.



[Fonte Wired.it]

La Nasa lancia una piattaforma streaming, gratuita e senza pubblicità

La Nasa lancia una piattaforma streaming, gratuita e senza pubblicità



Da Wired.it :

For the dreamers. For the explorers. For the next generation”. È un claim detonante quello che introduce il nuovo servizio di streaming Nasa+, in arrivo l’8 novembre. Fra le più disparate piattaforme, che abbracciano tutti i campi dello scibile umano, non poteva in effetti mancare quella della più celebre agenzia governativa spaziale del pianeta. Il nuovo servizio streaming (già visitabile in versione beta) e un sito totalmente rinnovato sono i fiori all’occhiello di un progetto ambizioso, che renderà entusiasti tutti gli appassionati di spazio.

Nasa+ non richiederà la registrazione e sarà totalmente gratis e priva di pubblicità; sarà accessibile da diverse piattaforme, tra cui l’app Nasa per dispositivi iOS e Android, Roku, Apple TV e Fire TV. Sarà inoltre fruibile anche dal web, sia su desktop sia su mobile. La piattaforma si aggiunge al già esistente Nasa TV, offrendo però una maggiore varietà di contenuti e una qualità visiva decisamente più alta.

Un passo importante

La nuova piattaforma fa parte di un processo di rinnovamento dei siti web dell’agenzia spaziale, nasa.gov e science.nasa.gov, aggiornati in modo da essere più al passo coi tempi e user-friendly: gli utenti avranno accesso alla copertura dal vivo delle missioni della Nasa attraverso collezioni di video originali, tra cui le nuove serie, che verranno lanciate insieme al nuovo servizio di streaming.

Dalla ricerca sugli esopianeti alla migliore comprensione del clima terrestre e dell’influenza del Sole sul nostro pianeta, insieme all’esplorazione del sistema solare, i nostri nuovi siti web scientifici, così come i prossimi video di Nasa+, mostrano i nostri programmi di scoperta in modo interdisciplinare e trasversale, creando connessioni più forti con i nostri visitatori e spettatori”, ha dichiarato Nicky Fox, Associate Administrator for Nasa’s Science Mission Directorate.

La nostra visione è di ispirare l’umanità attraverso un’esperienza web unificata e di livello mondiale della Nasa”, ha dichiarato Jeff Seaton, chief information officer dell’agenzia. “L’impronta digitale ereditata dalla Nasa presenta un’opportunità di migliorare drasticamente l’esperienza utente per il pubblico che serviamo. Modernizzare i nostri siti web principali dal punto di vista tecnologico e semplificare il modo in cui il pubblico interagisce con i nostri contenuti online sono passi fondamentali per rendere le informazioni della nostra agenzia più accessibili e sicure.”

Cosa potremo vedere su Nasa+

Sebbene non sia stato ancora annunciato un programma completo, la piattaforma includerà una serie di livestream, aggiornamenti sulle missioni e video dietro le quinte, in continuità con ciò che è già fruibile su Nasa Tv. Attraverso il suo sito web e il suo canale YouTube, l’agenzia spaziale trasmette inoltre regolarmente momenti emozionanti delle missioni, atterraggi dei rover su Marte, lanci storici di razzi, replay dei lanci, sganci e ammaraggi, scoperte e altro ancora.

Stiamo mettendo lo spazio a portata di mano e a portata di clic con la nuova piattaforma di streaming della Nasa”, ha dichiarato Marc Etkind, responsabile delle comunicazioni dell’agenzia spaziale. “Trasformare la nostra presenza digitale ci aiuterà a raccontare meglio le storie di come la Nasa esplora l’ignoto nell’aria e nello spazio, ispira attraverso la scoperta e innova a beneficio dell’umanità.”

L’umanità che il 20 luglio del 1969 ha compiuto un grande salto, coincidente con lo storico piccolo passo di Neil Armstrong, ha dunque un nuovo strumento con cui ripercorrere e apprezzare il proprio cammino, all’insegna del superamento delle barriere fisiche e della comprensione del grande mistero che ci circonda.





[Fonte Wired.it]