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Farina di insetti e rischio allergie: cosa sapere
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Farina di insetti e rischio allergie: cosa sapere | Wired Italia



Da Wired.it :

Le discussioni sulla farina di insetti, e in particolare su quella di grillo, che hanno tenuto banco nelle settimane scorse si sono concentrate soprattutto sugli aspetti burocratici legati all’arrivo sul mercato di quello che per gli italiani è considerato un novel food (non senza polemiche e fake news). Ad alimentarle sono stati i decreti per l’etichettatura e la vendita dei prodotti contenenti insetti, che hanno sollevato un aspetto anche più sanitario, ovvero il rischio di allergie legato al consumo di questi alimenti. Perché sì, le farine di insetti – come tantissimi altri alimenti – possono innescare reazioni allergiche e andrebbero considerate con una certa cautela solo da una fascia della popolazione.

“Per chi non è allergico ad alimenti che contengono gli stessi allergeni, la farina di grillo andrebbe considerata uguale a qualsiasi altro alimento”, riassume a Wired.it Mario Di Gioacchino, presidente della Siaaic (Società italiana di allergologia, asma ed immunologia clinica). Il concetto infatti è che si può sviluppare allergia verso qualsiasi alimento, sempre, anche se è più probabile che l’insorgenza di allergie capiti da bambini, continua l’esperto. Discorso diverso per tutti coloro che sono allergici a sostanze presenti nei cibi a base di insetti, come le farine di grillo (Acheta domesticus).

Cosa scatena le allergie

Pur non avendo mai mangiato questi alimenti, infatti, alcune sostanze presenti in questi cibi sono allergeni certi per alcune persone. Sono coloro che soffrono già di allergie agli acari della polvere o ai crostacei, e non è un caso, ricorda Di Gioacchino: “I grilli, proprio come scarafaggi, acari e crostacei, sono artropodi, e condividono con queste alcune proteine, la principale delle quali è la tropomiosina. Questo significa che se sono allergico ai gamberetti, e proprio a questa proteina, mangiando prodotti contenenti la farina di grillo andrò incontro a cosiddette reazioni crociate. Ovvero reagire anche a cibi diversi, ma contenenti lo stesso allergene o uno molto simile.

Il concetto infatti, ci tiene a precisare l’esperto, è che non si è propriamente allergici a un alimento, quando piuttosto ad alcune molecole contenute al suo interno. Col risultato che, l’allergia nei confronti di una proteina, presente in due alimenti per esempio, renderà la persona allergica a entrambi e a tutti quelli che la contengono. Fino a oggi si conoscono almeno 16 diverse tropomiosine ritenute allergeni alimentari – presente anche nei molluschi, cefalopodi e alcuni vermi cui vanno aggiunte diverse forme di arginina chinasi, un’altra proteina allergenica presente in acari, blatte, crostacei e falene. Accanto a questi allergeni maggiori però, ricorda una recente review condotta da ricercatori italiani sul tema, se ne conoscono altri minori – e dai nomi difficili come heat shock protein 70 e apolipoporina III.

La popolazione a rischio

In Italia si stima che, considerando la prevalenza di allergie a gamberetti, crostacei in generale e acari, siano a rischio allergia per il consumo di farina di grillo circa 800 mila -1 milione di persone, pari all’1-2% della popolazione. Persone che ovvero che rischiano formicolii, dolori, gonfiori diffusi, difficoltà a respirare, diarrea, vomito, fino a reazioni anafilattiche. “Reazioni di anafilassi sono state segnalate in seguito al consumo di farina di grillo”, ricorda Di Gioacchino, e casi di allergia a questi alimenti si sono avuti in Cina, negli Stati Uniti, in Giappone e anche in Europa”. Italia compresa: pochi anni fa per esempio infatti alcuni ricercatori del Cnr e di atenei piemontesi riportavano il caso di due lavoratori impiegati nella produzione di farina di insetti che avevano sviluppato reazioni allergiche dopo il consumo di hamburger a base di tarme della farina (Tenebrio moltior), senza aver però mostrato prima segni di allergie alimentari o respiratorie. In quel caso è verosimile che l’esposizione alla lavorazione della farina di insetti abbia funzionato come sensibilizzazione primaria, ovvero che abbia favorito la formazione delle IgE (le immunoglubuline che mediano le reazioni allergiche e che legano gli allergeni) per poi scatenare una risposta allergica al consumo dell’hamburger.

Allergie alimentari: la gestione del rischio

Lo stesso però potrebbe avvenire con altri cibi, ribadisce l’esperto: in seguito alla sensibilizzazione, la seconda esposizione è in genere quella in cui si manifesta l’allergia. Per i soggetti con allergie note, l’unico modo per gestire il rischio, è conoscerlo. Quando si parla di allergie a un determinato alimenti test molecolari consentono di capire a quale sostanza presente nell’alimento la persona è allergica: “Subito dopo si cerca di capire se la sostanza si distrugge con il calore – nel caso della tropomiosina no, per esempio – o ancora se resiste alla conservazione, alla digestione. In questo modo, a seconda delle proprietà dell’allergene, è possibile stabilire la corretta dieta per ogni paziente con allergia alimentare”, conclude Di Giacchino, lanciando un invito e una riflessione più ampia sul tema: “Al di là dei rischi associati alle allergie aver chiamato ‘farina’ un prodotto polverizzato derivato dagli insetti è fuorviante per i pazienti: sono stati molti quelli che mi hanno chiamato chiedendo se nella farina fosse presente il glutine”. E questo inevitabilmente contribuisce a creare perplessità (come se mancassero) intorno a questo alimento.



[Fonte Wired.it]

Intelligenza artificiale, qual è quella che crea le immagini migliori?

Intelligenza artificiale, qual è quella che crea le immagini migliori?



Da Wired.it :

Come cambia l’interpretazione dei comandi da un sistema di intelligenza artificiale per la generazione di immagini all’altro? Come se la cavano i più avanzati algoritmi (MidJourney, Bing basato su Dall-E e Stable Diffusion) nella comprensione delle metafore e nel dare vita a immagini surreali? E che conoscenza hanno di lingue diverse dall’inglese?

In una fase storica in cui questi strumenti stanno entrando a gamba tesa nel campo dell’illustrazione – creando anche imprevisti problemi di copyright e sollevando ancora una volta il tema del loro impatto sul mondo del lavoro – diventa ancora più importante comprendere quali siano i limiti e gli ostacoli ancora da superare.

Da questo punto di vista, uno degli aspetti più complessi per un’intelligenza artificiale – che, ricordiamo, non è dotata di nessuna vera comprensione del mondo, ma è in grado solo di scovare correlazioni statistiche all’interno del suo database – è probabilmente l’interpretazione delle metafore (così come delle ambiguità linguistiche, dell’ironia, delle sfumature e di tutto ciò che nasconde più strati di significato). Lo ha sperimentato Wired, attraverso una serie di test:

  1. Dormire sugli allori
  2. Il gatto e il pane
  3. Mondo alla rovescia
  4. Alert mani

Dormire sugli allori

Come interpreta allora l’intelligenza artificiale il comando di raffigurare “una persona seduta sugli allori”? Questo modo di dire vale anche in inglese, dove al posto di “seduta” si usa però resting, ovvero “riposa”. Se avessero compreso la metafora, i tre sistemi impiegati avrebbero dovuto realizzare l’immagine di qualche persona abbastanza soddisfatta, un po’ compiaciuta, che ha raggiunto magari una certa fama e adesso si accontenta di quanto ottenuto (personalmente non ho idea di come si possa raffigurare una cosa del genere, ma d’altra parte non sono un illustratore). Prevedibilmente, nessuna intelligenza artificiale è riuscita a uscire dal significato letterale della metafora, confermando quindi di non avere la capacità di interpretarla correttamente. Allo stesso tempo, i risultati ottenuti dai tre generatori che abbiamo adoperato sono incredibilmente diversi.

MidJourney ha per esempio dato vita a questa immagine poetica: una persona avvolta in una tunica e con una dantesca corona d’alloro mentre dorme in una sorta di bozzolo sempre d’alloro. 



[Fonte Wired.it]

TikTok, l’audizione ha mostrato tutta l’ipocrisia del Congresso americano
| Wired Italia

TikTok, l’audizione ha mostrato tutta l’ipocrisia del Congresso americano | Wired Italia



Da Wired.it :

In quasi la totalità delle udienze che vedono le big tech comparire davanti al Congresso degli Stati Uniti – che si parli di privacy dei dati, monopoli o sicurezza nazionale (come nel recente caso di TikTok) – almeno un legislatore a un certo punto farà un appello in cui chiederà di pensare ai bambini.

Durante la recente audizione al capo di TikTok , diversi deputati, tra cui il democratico Frank Pallone del New Jersey, hanno citato ricerche che dimostrano come il social network promuova contenuti dannosi per bambini e adolescenti.

Una nuova ricerca del Center for Countering Digital Hate ha rilevato che la piattaforma diffonde contenuti sull’autolesionismo e sui disturbi alimentari a bambini e adolescenti rispettivamente ogni due minuti e mezzo e ogni otto minuti . Le preoccupazioni sono giustificate, considerando che TikTok è la piattaforma preferita da molti giovani utenti. Da uno studio del Pew Research Center del 2022 è emerso che il 67 per cento degli adolescenti interpellati dichiarava di utilizzare l’applicazione, seconda solo a YouTube.

In balia dei social

“Senza obblighi di legge in materia di sicurezza, trasparenza e responsabilità, l’algoritmo continuerà a mettere a rischio gli utenti più vulnerabili. Il Congresso deve dare risposte ai genitori americani”., ha dichiarato in un comunicato stampa Callum Hood, responsabile della ricerca del Center for Countering Digital Hate.

Ma come ha sottolineato Shou Zi Chew, l’amministratore delegato di TikTok, si tratta di problemi che hanno interessato quasi tutte le principali piattaforme di social media negli ultimi anni. Molte dei timori sulla sicurezza sollevati nei confronti di TikTok ricordano le critiche mosse a Meta durante precedenti audizioni, in particolare riguardo a Instagram. Nel 2021, in seguito all’uscita dei Facebook Files, il senatore democratico Richard Blumenthal ha letto ad alta voce un messaggio di un cittadino che descriveva la difficoltà della figlia quindicenne con il suo aspetto fisico e attribuiva la colpa a Instagram. Un rapporto del 2022 di Fair Play for Kids ha rilevato che Instagram è pieno di “bolle che sono a favore dei disordini alimentari”. Il rapporto stimava che un utente su settantacinque seguiva almeno uno di questi account. Le controverse challenge diventate popolari su TikTok, inoltre, non sono un problema esclusivo della piattaforma. Nel 2018, i video in cui ragazzini mangiavano capsule di detersivo sono circolati anche su Facebook, YouTube e altri social network.





[Fonte Wired.it]

CO2, come imprigionarla nel cemento

CO2, come imprigionarla nel cemento



Da Wired.it :

Innanzitutto, servono delle celle elettrochimiche: sono dei dispositivi che permettono di convertire l’energia elettrica in energia chimica, formati da un elettrolita (una soluzione) e due elettrodi (dei conduttori elettrici). L’acqua oceanica viene consegnata a un primo gruppo di celle che la “acidificano” con il rilascio di protoni, i quali permettono la conversione in CO2 dei bicarbonati inorganici che vi sono disciolti. La CO2 viene rimossa, mentre l’acqua viene fatta passare per una seconda serie di celle a tensione elettrica invertita, in modo da recuperare i protoni fornitigli nel primo passaggio. Così, l’acqua acida diventa alcalina e viene infine rilasciata nell’oceano. Periodicamente, i ruoli delle due celle si invertono per consentire agli elettrodi del primo gruppo di recuperare protoni.

Secondo i ricercatori del Mit, la rimozione della CO2 e la reiniezione di acqua alcalina potrebbe iniziare a invertire l’acidificazione di porzioni di oceano, a beneficio degli ecosistemi. Gli studiosi sostengono che il loro processo sia scalabile e integrabile in tutti quei sistemi che hanno già a che fare con l’acqua marina, come i dissalatori, le piattaforme offshore per l’estrazione petrolifera, gli allevamenti di pesci e le navi (andando a compensare le grandi emissioni del trasporto marittimo). 

Stoccare la CO2 nel calcestruzzo

Rimane il problema, tuttavia, di cosa farne di tutta l’anidride carbonica catturata. La si potrebbe confinare proprio al di sotto dei fondali oceanici, ma ci sono delle soluzioni più efficienti. Heirloom Carbon Technologies, una startup californiana, vuole ad esempio riutilizzare la CO2 sequestrata per migliorare il calcestruzzo. Il vantaggio è doppio: si recupera un gas altrimenti destinato sottoterra, e si riduce l’impronta carbonica di un materiale usatissimo nell’edilizia – e dunque fondamentale per l’umanità – ma responsabile dell’8 per cento delle emissioni globali.

Come prima cosa, Heirloom riscalda ad alte temperature il calcare macinato per far sì che si rompa e rilasci anidride carbonica pura, facilmente catturabile. Quello che rimane sono dei minerali ossidi altamente reattivi, smaniosi di legarsi alla CO2. Vengono allora sistemati su dei grandi vassoi, impilati in verticale ed esposti all’aria aperta perché agiscano come delle spugne, assorbendo la CO2 – ci vogliono due settimane perché se ne riempiano, invece di un anno, grazie alla tecnologia della startup – e “trasformandosi” in carbonato di calcio, il componente principale del calcare. Da qui, il processo ricomincia: si rompe di nuovo il calcare, si ricattura la CO2, si riprendono gli scarti e li si rimette all’aria. È possibile ripartire una decina di volte, prima che il materiale si degradi troppo.

Infine, la CO2 prelevata da Heirloom viene mandata a CarbonCure Technologies, un’azienda canadese specializzata, che la trasforma in un minerale che rafforza il calcestruzzo. In questo modo si elimina la necessità di cemento, un “ingrediente” – un legante idraulico, per la precisione – del calcestruzzo che serve proprio a renderlo più solido. Il cemento è tanto utile quanto problematico, perché è il componente del calcestruzzo più inquinante di tutti: per produrre una tonnellata di cemento si emette una tonnellata di CO2.

Decarbonizzare il settore dei materiali da costruzione è fondamentale. Da oggi al 2050 la domanda mondiale di cemento è prevista aumentare del 48 per cento, passando da 4,2 miliardi di tonnellate a 6,2 miliardi. Ma per rispettare l’accordo di Parigi e mantenere l’aumento della temperatura entro gli 1,5 °C, l’industria del calcestruzzo dovrà ridurre le sue emissioni del 16 per cento al 2030, e del 100 per cento al 2050. Riciclare la CO2 potrebbe aiutare. 



[Fonte Wired.it]

Nord Stream, cosa abbiamo scoperto fin qui sul sabotaggio dei gasdotti

Nord Stream, cosa abbiamo scoperto fin qui sul sabotaggio dei gasdotti



Da Wired.it :

Lo stesso metodo è stato utilizzato per smentire la tesi di Hersh, secondo cui dietro le esplosioni ci sarebbero gli Stati Unit (Hersh ha difeso il suo articolo, mentre i funzionari statunitensi hanno dichiarato che era falso). Alexander ha utilizzato, tra l’altro, i dati di tracciamento delle navi per dimostrare che le navi norvegesi erano “controllate” e non potevano “piazzare gli esplosivi sul gasdotto Nord Stream, come sostenuto da Hersh”. Anche un altro articolo pubblicato da giornalisti norvegesi ha poi smentito le affermazioni di Hersch, utilizzando in parte dati satellitari.

Se la disinformazione resta in vantaggio

Fin da subito, il sabotaggio dei gasdotti è stato controverso e molto discusso. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha inasprito le tensioni globali e ha messo sotto pressione le diplomazie di tutto il mondo. Attorno alle esplosioni si è scatenato un vortice di disinformazione, che ha ulteriormente confuso le acque. Mary Blankenship, ricercatrice che si occupa di disinformazione presso l’Università del Nevada, Las Vegas, dichiara che “la grande incertezza e l’alta posta in gioco” dell’incidente contribuiscono ad alimentare la diffusione della disinformazione.

In un primo momento, le fake news circolate su Twitter provenivano da complottisti, racconta Blankenship, che sottolinea come successivamente anche Russia e Cina hanno iniziato a condividere teorie non verificate sul sabotaggio.

Secondo il portavoce dell’Unione europea (Ue) Peter Stano, “gli attori della disinformazione e i rappresentanti ufficiali del regime russo hanno intensificato i loro sforzi su ogni notizia, per quanto contraddittoria, sulle origini dell’esplosione, che si tratti di un post sul blog di Seymour Hersh o di un articolo del New York Times”. Stano sottolinea anche come la maggior parte di queste narrazioni ruoti attorno all’idea di una responsabilità statunitense. Il progetto di monitoraggio della disinformazione dell’Ue, EUvsDisinfo, ha segnalato più di 150 fake news legatei alle esplosioni del Nord Stream, compresi quelli che si basano sull’articolo di Hersh. “Gli esperti di EUvsDisinfo hanno anche scoperto che Mosca considera i recenti contenuti dei media di lingua tedesca bufale”, afferma Stano. Probabilmente le ricostruzioni che sfatano le tesi più di dubbia affidabilità raggiungeranno meno persone rispetto alla disinformazione o alle affermazioni difficili da verificare, malgrado gli sforzi dell’intelligence open source . 





[Fonte Wired.it]