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a caccia di easter egg nel film
| Wired Italia

a caccia di easter egg nel film | Wired Italia



Da Wired.it :

Pasqua si avvicina e Dungeons & Dragons è finalmente nei cinema: quale combinazione migliore per andare a caccia di easter egg? Come ci si poteva aspettare, un film tratto da un gioco di ruolo con quasi 50 anni di storia alle spalle non poteva che essere infarcito di citazioni più o meno nascoste.

Alcune fanno riferimento all’essenza di D&D, alle sue regole, alle creature e ai personaggi che affollano i suoi manuali; altre ai Forgotten Realms, vale a dire l’ambientazione condivisa dal film e da alcune delle avventure e dei romanzi ufficiali più famosi. Pensate di averle già scovate tutte? Controllate più avanti e vedrete, alcune potrebbero sorprendervi. Prima di proseguire nella lettura, però, fate attenzione agli spoiler: se non avete già visto il film potreste rovinarvi qualche sorpresa.

(copyright immagini: Hasbro e Paramount Pictures).



[Fonte Wired.it]

Internet è diventata la nuova televisione
| Wired Italia

Internet è diventata la nuova televisione | Wired Italia



Da Wired.it :

Nel 2015, ormai un decennio fa, il saggio online The Web We Have to Save di Hossein Derakhshan fece piuttosto parlare di sé. A scriverlo era un autore iraniano che aveva trascorso i precedenti sei anni in carcere a causa delle sue attività politiche e pubblicistiche. Il saggio raccontava dell’esperienza dell’autore con internet prima e dopo il carcere: da una rete che ricordava una biblioteca, da cui era possibile passare da un contenuto all’altro seguendo liberamente i link, a una rete molto più simile alla televisione, dove i contenuti venivano offerti a flusso continuo, spinti da algoritmi il cui scopo è tenere gli spettatori quanto più all’interno delle piattaforme dove quei contenuti vengono fatti circolare. Il web, insomma, era cambiato in modo radicale nel corso degli anni che Derakhshan aveva trascorso in prigione. Dall’uscita di quel saggio – che nel frattempo è stato citato a dismisura, diventando un piccolo classico della pubblicistica digitale – sono passati altri dieci anni. Dieci anni in cui, però, internet è rimasta ferma allo stesso punto.

Lo si è detto in tantissime formule, il modo in cui si discute di internet nel dibattito pubblico è cambiato radicalmente negli ultimi anni, con oscillazioni importanti tra toni utopici e distopici, sempre per lo più enfatizzati e poco sostanziosi. È almeno dall’esplosione del caso Cambridge Analytica che impera il techlash, un, potremmo dire, spirito dei tempi particolarmente avverso e critico nei confronti della rete e dei suoi principali attori tecnologici ed economici: a farne parte sono un misto di rancore nei confronti di speranze deluse, scandali, panici morali, managerportati a testimoniare nei Parlamenti e crollo dei finanziamenti e dei guadagni. Eppure, nonostante questo clima, non “succede” mai niente online: le grandi piattaforme possono perdere fette importanti di utenti, qualche miliardo di capitalizzazione, bruciare prodotti e progetti ritenuti strategici, ma non sembra nemmeno possibile immaginare un cambio di paradigma rispetto a quello che queste aziende hanno imposto.

Una nuova tv

L’idea di Derakhshan, quella per la quale internet sarebbe diventata la nuova televisione, sembra essere più vera che mai: navigare su internet – se ancora questa immagine ha ancora senso quando gli smartphone e le app sono gli strumenti più usati in tutto il mondo – oggi è in tutto e per tutto una esperienza televisiva. A dominare sono i video e i Reel, specialmente sulle piattaforme controllate da Meta, e pompati dagli algoritmi al centro della nostra esperienza online. TikTok, con la sa crescita esponenziale, sta guidando i trend e le dinamiche del capitalismo digitale, influenzando anche le scelte strategiche della concorrenza, gli stili e i formati della comunicazione digitale, la moda, la produzione audio e video e sostanzialmente ogni altra cosa. Viviamo, in sostanza, in un mondo il cui immaginario mainstream assomiglia sempre di più a quello dei video della piattaforma cinese e con una crescente aspettativa che tutto assomigli a come le cose funzionano su TikTok stessa. Balletti compresi, distopia compresa.

Blake Chandlee, presidente soluzioni globali di business di TikTok, in una intervista pubblicata dal New Yorker nel 2022, ha rimarcato in modo netto le differenze tra la piattaforma per cui lavora e Facebook: loro sono una piattaforma social, noi siamo una piattaforma di intrattenimento. Sembra una dichiarazione banale, ma riassume candidamente, in realtà, il cambio di paradigma avvenuto negli ultimi anni per quanto riguarda la nostra vita online. Come ha scritto l’accademico Christian Fuchs, la retorica del web 2.0 imperante nei primi anni 2000, voleva che le piattaforme di rete – o almeno il loro ritratto ideologico e svuotato di qualsiasi tratto economico-politico – fossero intrinsecamente partecipative e in grado di fornire occasioni di empowerment ai loro utenti. Non si può negare che in qualche misura sia andata proprio così, come dimostra, per esempio, il ruolo importante dei social media nel coordinamento dei movimenti di protesta. In buona parte, però, quell’idea – come parte della più vasta ideologia della rivoluzione digitale, come l’ha definita invece lo storico dei media Gabriele Balbi – ha cercato di descrivere qualcosa che non si è materializzato.



[Fonte Wired.it]

Cervello: possiamo “ripulirlo” a comando?

Cervello: possiamo “ripulirlo” a comando?



Da Wired.it :

Il cervello si può disintossicare? Scientificamente la parola detox ha poco significato (soprattutto quando se ne abusa in ambito alimentare), ma in alcuni casi può essere utile per spiegare alcuni fenomeni. Possiamo usarla, per esempio, per il cervello: negli ultimi anni diverse ricerche hanno suggerito l’esistenza di un sistema detox capace di ripulire il cervello dei metaboliti che si accumulano col tempo. Si tratta di un sistema fisiologico, volgarmente soprannominato “brainwashing”, che diversi gruppi di ricerca in giro per il mondo stanno cercando di caratterizzare, per comprendendone il funzionamento in condizioni normali e patologiche. Tra questi ci sono i ricercatori del gruppo di Laura Lewis presso la Boston University. Qui, in collaborazione con il Massachusetts General Hospital, Lewis e colleghi hanno messo a punto un sistema per guardare questo sistema di pulizia in azione, individuando anche un modo in cui è possibile indurlo. Ma andiamo con ordine.

Un sistema di “pulizia” per il cervello

Lewis e colleghi non parlano, a onor del vero, propriamente di brainwashing, piuttosto spiegano come il cervello sia dotato di un sistema che, scorrendo, allontana dal cervello i metaboliti, ripulendolo. “Il cervello è dotato di un sistema di trasporto dei rifiuti integrato, che è importante perché le cellule producono dei prodotti di scarto che devono essere trasportati all’esterno – spiega la ricercatrice a Wired – Molti aspetti di questo sistema sono stati scoperti dai neuroscienziati solo negli ultimi dieci anni. Ci sono degli spazi pieni di fluidi attraverso i quali le molecole possono muoversi e anche vasi linfatici che drenano. Diversi studi hanno suggerito che il sistema di trasporto dei rifiuti è più attivo durante il sonno”.

C’è chi collega questo sistema di pulizia al flusso sanguigno, chi più al fluido cerebrospinale (CSF, dall’inglese Cerebrospinal fluid), un liquido che scorre nel sistema nervoso centrale, deputato ad alleggerirne il peso, e che fornisce protezione meccanica e supporto nutritivo. E che allontanerebbe anche metaboliti potenzialmente dannosi. Al punto che, variazioni nel suo flusso, sono state collegate a condizioni patologiche.“Alcuni studi hanno suggerito che riduzioni nel flusso del CSF si osservano nell’Alzheimer, nel Parkinson e in altre malattie neurologiche”. Perché studiare il flusso del CSF nel sistema nervoso centrale è possibile: grazie all’utilizzo di sistemi di imaging di risonanza magnetica:“Grazie a delle nuove tecniche di imaging possiamo osservare molto velocemente come questo flusso cambia nel tempo”, va avanti Lewis.

Il liquido cerebrospinale si muove ad onde

E questo è quello che, tra l’altro, con il suo team stanno facendo da tempo. Qualche anno fa, per esempio, i ricercatori hanno osservato che il CSF, così come l’attività cerebrale, ha delle “onde”, ovvero, fluisce nel cervello seguendo delle oscillazioni. Ma non solo: il flusso del liquido cerebrospinale è in qualche modo collegato a quello del sangue, che a sua volta appariva collegato a quello dell’attività elettrica del cervello, durante il sonno. Questo collegamento tra attività elettrica e flusso del liquido cerebrospinale ha portato i ricercatori a chiedersi se, modulando l’attività nervosa fosse possibile modulare anche quella del CSF. Per scoprirlo il team di Lewis ha allestito un esperimento: ha stimolato l’attività nervosa del cervello in alcuni volontari facendo loro osservare (quindi da svegli) una scacchiera tremolante – uno stimolo visivo ad alta intensità, spiegano i ricercatori – registrando poi l’attività del loro cervello con elettroencefalogrammi e risonanza magnetica. “Studi condotti sull’uomo avevano mostrato che era possibile modificare il flusso del CSF con input sensoriali specifici spiega la ricercatrice – e il nostro lavoro mostra che la stimolazione visiva può modificare il flusso del CSF”. A dimostrazione, scrivono su Plos One presentando i risultati, dell’esistenza di un legame tra attività neuronale, cambiamenti nel flusso di sangue e del liquido cerebrospinale, come osservato in passato.

Ma attenzione, precisa Lewis, a collegare tutto questo a un meccanismo di pulizia on demand del cervello, anche se sarebbe affascinante crederlo, come ha confidato al New Scientist. In realtà, ci spiega: “Non possiamo misurare il ‘brainwashing’ direttamente nel cervello degli esseri umani, possiamo solo vedere se il CSF sta scorrendo, quindi non possiamo ancora rispondere alla domanda su come questo influisca sullo smaltimento dei rifiuti negli esseri umani”.

Per ora quello che lo studio aggiunge è che il liquido cerebrospinale, oltre che dal sistema cardiorespiratorio, è collegato anche all’attività neurale. Nel mentre, conclude la ricercatrice, gli studi procedono per capire come il flusso del liquido cerebrospinale cambia negli anni e come sia legato al funzionamento del cervello.



[Fonte Wired.it]

Luna. come si misura il tempo?
| Wired Italia

Luna. come si misura il tempo? | Wired Italia



Da Wired.it :

Nel 2025 gli astronauti torneranno a visitare la Luna, per costruire basi e stazioni spaziali, mettere al lavoro lander e rover robotici ed estrarre risorse. In questa nuova era di attività lunari, avranno bisogno di sincronizzarsi l’uno con l’altro; ad oggi, però, non esiste un sistema orario o un fuso orario concordato, e sulla Luna ovviamente non ci sono né Gps né internet.

Per mettere a punto un sistema per calcolare l’orario su suolo lunare sarà necessario sviluppare nuove tecnologie sul nostro pianeta, che andranno poi impiegate a oltre 284mila chilometri di distanza. Javier Ventura-Traveset, ingegnere dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) è alla guida di questi sforzi con un progetto chiamato Moonlight, che mira a realizzare dei satelliti al servizio degli astronauti ed esploratori robotici. Moonlight e la sua controparte statunitense, Lunar Communications Relay and Navigation Systems, supporteranno il programma Artemis della Nasa. Queste iniziative stanno sollevando domande sulla necessità di adottare un unico fuso orario sulla Luna, e sul suo eventuale funzionamento.

Le missioni Apollo della Nasa non avevano bisogno di tutto questo. All’epoca, gli astronauti hanno visitato la Luna, hanno portato a termine il loro lavoro e sono poi tornati a casa. Tuttavia, i piani delle agenzie spaziali per il ventunesimo secolo prevedono una presenza umana permanente sul nostro satellite, e la possibile convivenza di persone provenienti da Europa, Stati Uniti, Giappone, Cina e Canada allo stesso tempo. “Finora, quando si svolgeva una missione sulla Luna, ci si sincronizzava sempre con un fuso orario sulla Terra. Ma in futuro le missioni si moltiplicheranno e sarà necessario avere un orario di riferimento comune“, spiega Ventura-Traveset. Questo obiettivo comporta delle sfide logistiche e ingegneristiche, a cui se ne aggiungono altre di natura politica e filosofica.

Che ore sono sulla Luna?

Che cos’è il tempo sulla Luna? Quasi tutti concordano sulla definizione di secondo, l’unità di misura di base del tempo (se siete curiosi, un secondo corrisponde a 9.192.631.770 periodi di radiazione emessi da un atomo di cesio). Questo concetto però non è molto utile nella vita di tutti i giorni. Le persone hanno bisogno di periodi di tempo più ampi per svolgere attività come regolare un orologio, far funzionare un computer, sapere quando andare al lavoro o capire quanto tempo ci vuole per andare dal punto A al punto B. Sulla Terra, adottiamo la giornata di ventiquattro ore, basandoci sulla rotazione del pianeta e sulla successione di luce e buio, sui quali i nostri ritmi circadiani sono sintonizzati.

Il nostro satellite naturale, invece, ruota molto più lentamente, impiegando 29,5 giorni terrestri per un giro completo. Ciò significa che una parte della Luna rimane illuminata o lontana dal Sole per lunghi periodi. Sulla Terra non ci accorgiamo del movimento lunare perché il satellite è in rotazione sincrona con il nostro pianeta. Scienziati come Ventura-Traveset dovranno definire il significato di tempo in un luogo in cui molti degli indicatori che usiamo sulla Terra – alba, tramonto, ora di punta, prima serata – non sono applicabili. L’ingegnere non ha ancora determinato se le agenzie spaziali adotteranno uno o più fuso orari. Data la lentezza della rotazione lunare, Ventura-Traveset ritiene che sarebbe ragionevole adottarne un numero minore rispetto ai ventiquattro sulla Terra. Dal suo punto di vista, un solo fuso sarebbe più pratico e naturale: in questo modo riprodurremmo il Tempo coordinato universale, in modo che gli astronauti possano seguire un ciclo di ventiquattro ore come fanno sulla Stazione Spaziale Internazionale. In questo caso, ovviamente, un giorno non sarbebbe sincronizzato con i periodi di luce e buio della Luna.



[Fonte Wired.it]

Energia, 3 progetti per generarla dal mare
| Wired Italia

Energia, 3 progetti per generarla dal mare | Wired Italia



Da Wired.it :

Un aforisma un po’ beffardo di un famoso giocatore di baseball americano dice che “in teoria non c’è differenza tra teoria e pratica, ma in pratica c’è”. In teoria, si potrebbe fornire elettricità all’intera popolazione della Terra – e ne avanzerebbe pure tanta – sfruttando l’energia racchiusa nei mari e negli oceani: un’energia abbondante, continua, rinnovabile, prevedibile e anche pulita. In pratica, però, gli sforzi fatti finora per estrarre l’energia delle maree e del moto ondoso non hanno quasi mai dato i risultati sperati: gli impianti vengono erosi dalla salsedine e danneggiati dagli impatti continui, e i costi di mantenimento elevati convincono gli operatori a rinunciare. L’episodio più infelice fu quello di Pelamis, un’azienda britannica che nel 2008 installò nelle acque del Portogallo un generatore di elettricità dalle onde – una struttura lunga cinque chilometri e paragonata a un serpente marino, dal costo di 9 milioni di euro – solo per smantellare tutto dopo un paio di settimane a causa dei malfunzionamenti.

L’Agenzia internazionale dell’energia stima che dall’energia oceanica si potrebbero produrre 80.000 terawattora di elettricità, tre volte tanto il fabbisogno mondiale. Secondo l’Irena, l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, tra onde e flussi di maree il potenziale teorico è di 30.700 TWh all’anno. Nel pratico la situazione non è altrettanto esaltante. In un rapporto pubblicato un anno fa da Ocean Energy Europe, un’associazione di categoria, si legge che dei 30,2 megawatt di capacità da flusso di marea installata in Europa dal 2010, nel 2021 risultavano attivi soltanto 11,5 MW; nello stesso periodo, la capacità da moto ondoso è passata da 12,7 MW a 1,4 MW. Ma alcune nuove tecnologie promettono di rivoluzionare il quadro.

La Scozia vuole sfruttare le maree

Lo stretto del Pentland Firth, che separa il nord della Scozia dalle isole Orcadi, possiede tra le più forti correnti di marea del pianeta. Qui Sae Renewables ha installato nel 2017 un progetto chiamato MeyGen, che lo scorso febbraio è stato il primo al mondo a generare 50 gigawattora di elettricità (in Italia una famiglia di quattro persone consuma mediamente 3300-3600 kilowattora all’anno). MeyGen è composto da quattro turbine da 1,5 MW, simili nella forma a quelle eoliche, posizionate una ventina di metri sott’acqua per sfruttare i movimenti di masse tra il mare del Nord e l’oceano Atlantico settentrionale. Il progetto si articola in quattro fasi: la prima, da 6 MW, è operativa; la seconda e la terza (rispettivamente 28 MW e 52 MW) sono in sviluppo; l’ultima, da ulteriori 312 MW, è in stato di pianificazione.

Il governo scozzese ha partecipato al finanziamento di MeyGen e di un’altra soluzione innovativa: O2 di Orbital Marine Power, l’autoproclamata turbina mareomotrice più potente e tecnologicamente avanzata al mondo. Si trova ancorata al largo delle Orcadi, alle quali fornisce energia grazie a un cavo sottomarino che la collega alla rete.

Il progetto di Eni a Pantelleria

Molto più a sud della Scozia, nei pressi dell’isola di Pantelleria, a marzo Eni ha terminato l’installazione di Iswec, un dispositivo per la produzione di elettricità (fino a 260 kilowatt) dal moto delle onde: lo ha sviluppato assieme al Politecnico di Torino e a Wave for Energy, una società spin-off dell’università.



[Fonte Wired.it]

Telegram è diventato uno strumento per aiutare i criminali a realizzare gli attacchi di phishing

Telegram è diventato uno strumento per aiutare i criminali a realizzare gli attacchi di phishing



Da Wired.it :

Attenzione a Telegram! Negli ultimi tempi la piattaforma di messaggistica si è rivelata essere un ottimo terreno di lavoro per i cybercriminali, che la utilizzano per reclutare aiutanti non pagati e vendere bot e kit di phishing. Una novità che non dovrebbe stupire poi così tanto, dato che in passato Telegram è stata già utilizzata più volte per attività di criminalità informatica. Ma di recente la piattaforma ha accolto una vera e propria comunità sviluppatasi attorno al tema sempre più popolare del phishing, in cui gli utenti si scambiano consigli, servizi e molto altro ancora.

Un rapporto di Kasperksy rileva che i criminali informatici vendono tutti i tipi di materiale e servizi di phishing agli acquirenti interessati, inclusi kit già pronti, pagine false, abbonamenti a strumenti, guide e supporto tecnico. Più nel dettaglio, si tratta di:

  • kit gratuiti di phishing con strumenti già predisposti per la creazione di pagine web che imitano marchi noit
  • creazione automatica di pagine di phishing e di raccolta dati utenti
  • pagine premium di phishing con un’interfaccia personalizzabile, sistemi anti-bot, crittografia degli url e persino elementi di social engineering. Un kit in vendita ad un prezzo che varia da 0 a 300 dollari, a seconda delle caratteristiche
  • dati personali rubati e credenziali bancarie online
  • abbonamenti Phishing-as-a-service (PhaaS), che forniscono accesso a strumenti, guide per principianti, supporto tecnico e aggiornamenti regolari per i sistemi anti-rilevamento
  • bot con password monouso (OTP) che aiutano i phisher a bypassare automaticamente le protezioni 2FA.

Inoltre, gli esperti sostengono che Telegram sia anche il luogo in cui gli aspiranti truffatori possono acquisire familiarità con il business del phishing in modo del tutto gratuito. phisher più esperti, infatti, creano canali con bot che forniscono istruzioni dettagliate per generare una pagina di phishing. Il processo è completamente automatizzato e si conclude con la generazione di collegamenti a siti web falsi che imitano marchi e servizi popolari. La sola cosa di cui deve occuparsi un criminale, a questo punto, è di distribuire i collegamenti e attendere che le informazioni sensibili delle vittime vengano inoltrate al bot. Dall’altro lato, con questa strategia il phisher più esperto non solo guadagna un potenziale cliente, ma si assicura anche di poter mettere le mani su una copia dei dati rubati agli utenti.

Kaspersky afferma di aver rilevato oltre 2,5 milioni di URL dannose generate utilizzando kit di phishing negli ultimi sei mesi. Un dato che fa riflettere non soltanto sulla portata del fenomeno, ma anche sul ruolo che la piattaforma di messaggistica sta avendo nella sua crescita.



[Fonte Wired.it]